Dario Marchi: “Noi facevamo il bagno lì, tutte le domeniche”
Vergarolla
Noi facevamo il bagno lì, tutte le domeniche, nella baia dove c’erano le mine, c’era un’ottantina di mine antisommergibile. Tutti sapevano, le vedevano, le mine erano là: erano cilindriche, non erano tonde, non sono sfere le mine, erano per terra impilate come bidoni della spazzatura. Erano sotto gli alberi, dove noi mettevamo i remi, le borse con la roba da mangiare, che venivano tutte le formiche dentro, c’erano le file di formiche sopra… Mio papà era stato militare in marina, aveva fatto l’artificiere, aveva anche controllato queste mine, che erano senza dei pezzi e quindi non potevano esplodere. Quel giorno era l’anniversario della fondazione della Pietas Julia, il sessantesimo[1]. Era la festa di quella che in quel tempo i drusi, chiamavano reazione, reakcija… forse qualcuno ha trovato opportuno festeggiare in quella maniera. Mio papà non era venuto con noi quel giorno, così si è salvato, fortunatamente non era con noi. Io mi sono salvato per disobbedienza. Avevo otto anni e dopo pranzato, mia mamma non voleva che andassi in barca, io sono andato lo stesso, con altri due miei amici. Non le abbiamo detto niente, io non l’ho ascoltata, siamo andati in barca e basta, siamo arrivati praticamente al largo. Eravamo al largo quando è avvenuta l’esplosione. Le mine sono saltate… quando esplode una poi saltano tutte… bastava mettere il detonatore a una: è quello che hanno fatto. Mia sorella aveva tre anni meno di me ed è morta, io a Vergarolla ho perso la mamma, la sorella e la zia. Tre famiglie di nostri amici sono rimaste uccise… anche quella di Dinelli che era maestro di scuola e aveva controllato con mio papà le bombe prima che andassimo là, anche lui aveva fatto l’artificiere. […] Qualcuno aveva fatto saltare le mine perché voleva fare la strage. È stata una buona spinta all’esodo, la gente così aveva più paura… dopo di quello la nave Toscana si riempiva anche di tanti che forse sarebbero rimasti. Noi dovevamo andare via… invece dopo tutto questo hanno deciso di restare. Io sono tra quelli rimasti per forza, perché mio papà ha detto: ‘Dove vado adesso con questo figlio? Soli per il mondo? Io resto a casa e basta, nassi quel che nassi.
[Da G. Nemec, Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Unione Italiana Fiume – Università Popolare Trieste – Università degli studi Trieste, Centro di ricerche storiche Rovigno, ETNIA vol. XIV, 2012.]