Guido Brazzoduro
Una storia sottaciuta. I rapporti con i “rimasti”
(Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin)
2008 – “Il nostro cruccio oggi è quello di una storia sottaciuta o comunque poco nota ai più alla quale si aggiunge, a complicare la situazione semmai ce ne fosse bisogno, anche il ruolo marginale ma cattivo dei negazionisti. Ecco quindi la necessità di intervenire, soprattutto nelle scuole, per cercare di dare spiegazioni consone e comunque obiettive, fedeli alla verità. Si tratta di un problema che riguarda l’Italia ma si estende giocoforza anche ai Paesi vicini dove sulla storia, in tutto il dopoguerra, sono state fornite delle spiegazioni poco corrette e non complete di ciò che è successo. E questo ha creato parecchia confusione. Ovviare a tutto ciò sarà uno dei compiti della generazione attuale che può contare su un approccio documentato dopo la sistematica apertura degli archivi dell’epoca che permettono di accedere a nuove fonti”.
In che modo una coscienza europea può aiutare a superare i nodi che la storia ci ha lasciato in eredità?
“Non solo la storia ma soprattutto la politica che ha saputo riconoscere la nostra vicenda ma senza dar seguito alla fase concreta e ottemperare alle aspettative delle nostre genti. Questo per quanto riguarda la parte riferita agli Esuli e all’Italia. Per quanto concerne il problema dei beni, si potrebbe pensare che basti sottostare ai principi europei, sottoscritti ed affermati, per risolvere le pendenze nei nostri confronti ma così non è a meno che non si pongano delle precise condizioni al momento in cui i Paesi si accingono all’adesione di fatto all’UE. Una coscienza europea comunque può spianare la strada verso tale realtà”.
Che cosa significa oggi per la sua comunità dire “sono nato a Fiume”?
“E’ il luogo da cui veniamo, significa capire chi siamo e perchè la città è un elemento che ci accomuna anche con chi è nato a Fiume dopo che noi l’abbiamo dovuta lasciare. Pertanto cerchiamo di riaffermarne il valore di questo elemento comune che deve unire il passato col presente. La tristezza ed il rimpianto appartengono di più ai miei genitori e alle persone che hanno vissuto l’esodo in età matura e che volevano cancellare il ricordo di una città che in qualche modo non era più la loro. Per le giovani generazioni di allora invece, c’è un ricordo della guerra e del venir via ma con ferite meno profonde, per questo per me dire che sono nato a Fiume è un discorso di continuità”.
Come sono andati cambiando e maturando i rapporti con Fiume e la nostra Comunità?
“Per una serie di circostanze favorevoli, siamo stati tra i primi a farli decollare e a mantenerli intatti nel tempo. Si tratta ancora di iniziative limitate a poche occasioni ma comunque rivolte a sottolineare ciò che unisce e quindi volte a trovare gli elementi comuni per poter andare avanti e crescere”.
Quale il futuro di un’identità costruita e mantenuta con tanta fatica?
“Sarà un discorso vivo finchè noi e le nostre generazioni continueremo a trasmetterlo, rimarrà per tutti gli altri il ricordo di una realtà e di una terra che si è dovuta lasciare e che non è più italiana. Chi è nato dopo l’esodo in Italia o in altri luoghi lontani sente le origini fiumane come un omaggio alla famiglia ma appartiene alle nuove destinazioni. Un esempio: ora che la Croazia ha aperto il mercato immobiliare non saranno in molti a rispondere, anche se l’auspicio della nostra minoranza è che i concittadini esuli possano ritornare. E’ passato troppo tempo, altre abitudini, altri affetti si sono fatti strada”.
Con il Giorno del Ricordo la Nazione entra in contatto con la vicenda dell’Esodo. Quali le contraddizioni ma anche i successi raggiunti?
“Le contraddizioni riguardano il diverso modo di intendere il ricordo e la memoria, i successi invece si riferiscono al progressivo ma sempre maggiore coinvolgimento delle istituzioni che si rendono conto sia delle ingiustizie subite dai nostri concittadini nel passato sia del fatto che i giovani oggi debbano sapere per cui in futuro bisognerà far si che la nostra vicenda entri nei libri di testo”.
Perché è così difficile il rapporto con il Governo italiano?
“Non solo con il governo, c’è tutta una situazione da gestire: le difficoltà finanziare (come per la minoranza italiana). Per quanto ci riguarda spesso si intreccia il problema delle restituzioni con quello dell’indennizzo che si vorrebbe equo e definitivo. Le restituzioni invece dipendono dai Paesi vicini coi quali non si riesce a trovare un accordo anche per i beni non coperti dagli accordi che dovrebbero essere riconosciuti senza difficoltà. Invece si rivela una strada lunga, complicata, spesso condizionata dalla mancanza di un dialogo franco condizionato da questioni interne ed equilibri di coalizione, da una parte e dall’altra”.
I tavoli di concertazione con il Governo: una delusione o un’occasione da non perdere e sulla quale continuare ad insistere?
“Io che tendo a vedere il bicchiere mezzo pieno, propenderei per definirla occasione da non perdere, aldilà che si riesca a raggiungere un risultato. E’ sempre un modo per sensibilizzare chi deve e può occuparsi delle nostre questioni. Parlandone, approfondendo e spiegando si potrà arrivare ad una soluzione e qualunque sia è meglio del nulla o del silenzio”.
Le varie realtà dell’esodo procedono in grande autonomia, spesso in ordine sparso. C’è la possibilità oggi di un unico grande progetto che le comprenda?
“Dovrebbe esserci. E tutto sommato negli obbiettivi ci si ritrova. Dividono le modalità e i comportamenti che le varie associazioni utilizzano, alcune più rivolte al governo italiano, altre alle autorità europee; alcune su una linea moderata e costruttiva, altre su quella contestatrice. Mi rendo conto quanto sia difficile trovare soluzioni che possano accontentare tutti. Un progetto grande e di prospettiva invece che concentrarsi sul problema economico-amministrativo dovrebbe essere più di carattere culturale e storico, quindi con implicazioni e un coinvolgimento molto diverso. Questa direi è la scommessa per il futuro con una riconversione degli obbiettivi e delle priorità all’interno delle associazioni stesse”.
Il dialogo con le realtà all’estero esiste o ha bisogno di essere ridefinito?
“Ci si avvale dell’Associazione Giuliani nel Mondo che è portavoce delle loro istanze mentre noi li contattiamo saltuariamente o con difficoltà. Anche se è un problema sentito, ne prendiamo atto ai nostri Raduni”.
I Raduni hanno vissuto un’evoluzione molto particolare, legata alla storia stessa delle Associazioni ma oggi che cosa dovrebbero prefiggersi?
“I raduni, così come sono concepiti oggi, hanno un significato per coloro che possono ricordare qualcosa che hanno vissuto. Credo che nel tempo avranno una valenza gradualmente più debole. Per tanto si dovranno trovare occasioni diverse, magari meno legate ai campanili e più legate ad aspetti culturali, di progetti futuri su cui coagulare la popolazione degli eredi degli esuli”.
La collaborazione con i residenti in Istria, Fiume e Dalmazia di che progetto ha bisogno anche vista la dimensione finanziaria che sempre più accomuna le due realtà?
“Le risorse sono distribuite con finalità diverse, ma destinate sempre più a proporre anche iniziative comuni. Ci condizionano gli affanni e le priorità a cui destinare quei pochi contributi che ci vengono erogati. La minoranza italiana delle terre che abbiamo lasciato, ha decisamente problematiche diverse: alimentare anagraficamente la comunità, mantenere la linfa vitale rappresentata dalla scuola e sulla quale l’impegno del governo italiano è notevole. Si tratta di sottolineature che bisogna cercare di capire e far proprie, trasmettendole agli associati che non sempre sono pronti ad accettarle e a rispondere in modo positivo”.
Che cosa significa essere oggi un fiumano a Milano, quali i centri d’interesse, quali le prospettive?
“La città di Milano ha una vita abbastanza frenetica e parecchio dispersiva, per cui le occasioni di coagulo sono poche e selettive a seconda delle attività che le singole persone hanno, per cui è difficile trovare una direttrice comune. E’ un ruotare di persone vicine alla nostra realtà anche se spesso la volontà e la possibilità di partecipare non accomuna nelle diverse occasioni. Quindi bisogna privilegiare incontri di validi contenuti nello sforzo di ritrovarci uniti in una città che ci divide”.
Il ruolo del giornale La Voce di Fiume?
“E’ l’unico mezzo per unire la popolazione dell’esodo fiumano essendo sparso in tutte le realtà mondiali, è il mezzo di colloquio per eccellenza e di informazione sia su tradizioni e fatti del passato che del presente per quelle che sono le reciproche conoscenze della nostra popolazione. E’ un modo per cercare di tenerci uniti nei problemi, valori, storie, conoscenze e ricordi”.
Un augurio a chi la segue nel suo lavoro, da vicino e da lontano, per l’anno che se ne va e per quello che arriva.
“L’auspicio è di non demordere di fronte alle difficoltà, di cercare di capire in modo costruttivo le aspettative, andare incontro alle esigenze di tutti, cercando di mediare da una parte e di far capire i motivi della mediazione a chi non vive questa realtà, per cercare di andare incontro il più possibile alle aspettativi di concittadini e di coesuli italiani, fiumani e non, in Italia e nel mondo”.