Il sogno è l’Arena di Pola un 18 agosto
Intervista a Simone Cristicchi
(Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin)
In un mondo dove tutto è urlato, Cristicchi arriva in punta di piedi, riempie il palcoscenico con dolcezza e conquista il mondo. Abbiamo vissuto con Magazzino 18 la medesima atmosfera piena di attese e di emozioni di qualche anno fa a Trieste – con l’incontro dei tre presidenti di Italia, Slovenia e Croazia in occasione del concerto del M.ro Muti in P.zza Unità d’Italia. Anche allora migliaia di spettatori, eleganti, ordinati, sobri, senza sbavature di sorta, dopo giorni di polemiche feroci che avevano anticipato l’evento e l’avevano demonizzato. Come con Cristicchi, ancora prima di vedere lo spettacolo, già qualcuno gridava allo scandalo… ma la magia del teatro come un miele ha permeato tutto, ha sciolto i nodi, anestetizzato la rabbia nata dal dolore ed ha lavato nell’emozione ogni cattivo pensiero. Per giorni, spettacolo dopo spettacolo, il pubblico, in piedi, ha ringraziato questo cantante, attore, ragazzo, adulto, che con passo lieve attraversa le macerie della storia e restituisce ad ognuno la propria ragione, senza contrapposizioni perché la storia è stata, va incasellata. Ci pensa Persichetti, l’archivista tutto numeri che “ce mette er core” aiutato dal fantasma delle Masserizie. Ora Trieste attende il ritorno di Cristicchi, perché lo spettacolo va rivisto – lo ripetono tutti – quasi in una catarsi, per capire e capire l’altro, guardarsi allo specchio e riconoscersi.
Ma Simone come ha vissuto questo successo?
“Inizialmente ho avuto paura che le polemiche che hanno preceduto il debutto, addombrassero il lavoro fatto per lo spettacolo, lavoro che mi è costato molta fatica, un anno e mezzo per cercare le parole giuste, inventare i personaggi, scrivere le canzoni. Poi c’è stata – come molti del pubblico l’hanno definita – la “liberazione”! Credo che il successo di quella settimana a Trieste sia una delle più grandi emozioni e soddisfazioni mai vissute nella mia carriera, e nella mia vita”.
Che cosa scatta in un autore quando si trova di fronte a tante verità da dosare nella giusta maniera?
“A volte mi sono ritrovato con Jan Bernas, a cambiare anche una sola parola. Incredibile, ma vero! In questa storia, anche una parola avrebbe potuto essere di troppo. A un certo punto, il racconto della parte “storica” di Magazzino 18, ho avuto anche la tentazione di tagliarlo tutto, così: per evitare interpretazioni troppo “di parte”. Come si fa a raccontare cento anni di storia in 5 minuti? Chiaro, abbiamo dovuto tralasciare tante cose, e giustamente qualche esperto della materia ce lo ha segnalato. Ma uno spettacolo teatrale non è una conferenza.Se ho usato delle semplificazioni, l’ho fatto soltanto per non appesantire il pubblico. Non per motivazioni “oscure”, o per superficialità…”Il tuo spettacolo è frutto di un paziente lavoro di ricerca, supportato da Jan Bernas ma anche dal contatto con tanta gente che si è ritrovata in Magazzino 18. In che cosa ti sei trasformato in questi lunghi mesi preparatori?“Dai manicomi, alle miniere, alla Seconda guerra mondiale, sono da sempre schierato con chi la Storia la subisce, da chi resta ammutolito dagli uragani del destino. In questi mesi è maturata in me la consapevolezza di aver fatto qualcosa di grande per quella gente, che da più di 60 anni aspettava che la loro storia venisse raccontata. La cosa che più mi ha fatto piacere è che lo spettacolo sia piaciuto, non solo agli sloveni (cosa non scontata!), ma anche alla grande massa di triestini che di questo argomento sapevano poco. Da romano, ho solo cercato di essere equidistante, di non prendere una posizione netta, di lasciare il giudizio al pubblico. È così che ci si scrolla di dosso l’ingombro della memoria: esorcizzandola!”.Un episodio che ora ti piace ricordare di questa lunga indagine? “Dopo aver scritto la maggior parte del testo, sono andato in Istria per una vacanza. A Pola, passeggiando per la città vecia sono capitato davanti al cippo dedicato alla strage di Vergarolla. La cosa strana è che non sapevo dove fosse… è come se qualcuno, qualche anima, mi avesse accompagnato. Quando ho visto la targa in memoria di Micheletti, mi sono commosso. Ora il mio sogno – credo irrealizzabile – è quello di portare lo spettacolo nell’Arena di Pola, nel giorno dell’anniversario di Vergarolla, il 18 agosto! Spero che si possa fare, a volte i sogni si avverano”. Taddei, il tuo collaboratore, ha scritto su facebook che è stata dura andarsene da Trieste. Perché? Succede sempre o nella città di San Giusto è scattato qualcosa di diverso? “Trieste è una città “magica” e affascinante. Quante storie ancora ci sarebbero da raccontare! Ogni volta che si parte, ci si lascia un pezzetto di cuore. Provate a immaginare dopo tutto l’affetto ricevuto… In effetti, è una città a misura d’uomo, dove mi piacerebbe vivere…” I giornali hanno annunciato la tua tournée in Istria e a Fiume, cosa immagini, che cosa ti aspetti, che cosa vorresti?“Quando lo scorso luglio, in un paesino dell’Istria ho incontrato due signori molto anziani. La prima si è commossa quando l’ho salutata, ma non ha voluto parlare della sua esperienza di “rimasta”. Credo avesse avuto il marito infoibato, e per questo si chiuse in un silenzio imbarazzato. Sembrava ancora impaurita. L’altro anziano, invece, malediceva Tito e bestemmiava, dicendo “Quante promesse non mantenute… che disgrazia!”. Sono molto curioso di quello che succederà a dicembre, quando portero lo spettacolo in Istria. Spero di trovare lo stesso calore di Trieste, la voglia di superare insieme le divisioni. Ma la cosa che spero di più, è che lo spettacolo non venga recepito o presentato come “di parte”.Prima di Magazzino 18 che cos’era l’Istria per te? “Ho parlato di Istria come di una “regione fantasma”, una sorta di “Atlantide”, sprofondata nel mare. Per tanta gente è ancora così, un qualcosa di sconosciuto. Forse alla maggior parte degli italiani non fa nemmeno effetto che in quelle terre ci siano segni inequivocabili di italianità! Tra le tante cose che mi hanno colpito nella mia ricerca ce n’è una che voglio trascriverti. La diceva Persichetti: “Si. L’inventario l’ho stilato! E ner frattempo oltre a prenderme la leptospìrosi, me so fatto pure ‘na certa cultura, sa? Lei ce lo sapeva che la parola “istrione” viene dall’etrusco Hister, che vor dì mimo. L’Istria era na contrada da dove arrivavano li primi commedianti: l’istrioni. Insomma, l’attori pe’ l’antichi romani. E siccome noi romani l’etrusco nu lo capivamo, quelli che facevano? Recitavano senza parlà. Insomma chi c’ha quella radice pare condannato a nun avè voce.”
Poi hai conosciuto Piero Delbello che ti ha portato a vedere le masserizie, l’hai sentito davvero il fantasma in quel mare di sedie con un nome?
“Io sono “animista”, credo che anche gli oggetti posseggano un’anima! Nel magazzino 18 si repira la Storia dell’esodo, ma anche l’intimità delle case che contenevano quegli oggetti. L’ultima volta che ci sono andato, ho trovato persino i numeri della tombola! Piero aveva promesso di regalarmi una sedia “istriana”, se un giorno avessi fatto qualcosa per raccontare la loro vicenda. Quella sedia ora è diventata il mio portafortuna per la tourneè, e viaggerà con il resto della scenografia ma non la userò sul palco. Per me è “sacra”!
Ora l’avventura dei teatri italiani. Non temi che il tuo proporre all’Italia queste tematiche diventi la missione di un cavaliere senza spada e senza paura? “Mentre a Trieste, per questioni storiche e geografiche, il pubblico poteva avere un’infarinatura sull’argomento, credo che nel resto d’Italia il pubblico resterà per lo più stupito dalla storia che racconterò. Oggi, a destra e sinistra, si dibatte ancora sulle foibe, ma quanti sono a conoscenza di cosa volesse dire vivere in un campo profughi per 10 anni, oppure Goli Otok? Quanti conoscono Geppino Micheletti, Norma Cossetto o Marinella Filippaz?” Fino a che punto ora ti senti anche istriano-fiumano- dalmato? “Io mi sentii parte della grande famiglia istriana-fiumana e dalmata dal giorno in cui varcai la soglia del magazzino 18!”