Prima Esposizione Provinciale Istriana
L’iniziativa, come pure altre manifestazioni coeve, era figlia del suo tempo. Anche la sua genesi non fu facile, anzi fu accompagnata da polemiche e dissidi tra le forze politiche delle tre anime della penisola, che continuarono anche nei mesi in cui la mostra era in corso ed esplosero con notevole violenza una volta terminata, cioè nel momento in cui i rappresentanti italiani avrebbero invitato i membri della Dieta provinciale ad approvare il finanziamento attraverso il quale saldare il disavanzo prodotto. Nel campo politico sloveno e croato ci fu una levata di scudi e prevalse il rifiuto categorico; essi mai avrebbero accolto quella proposta in quanto l’esposizione, benché si fregiasse dell’aggettivo “provinciale”, a loro dire non rispecchiava le caratteristiche di tutto il territorio. Per questa ragione divenne una sorta di “vetrina” degli italiani, fu un momento in cui essi esposero i frutti del loro lavoro e le testimonianze del passato ancora gelosamente conservate.
In quella che un tempo era definita l'”Atene dell’Istria”, per cinque mesi si esaltò l’italianità. L’appuntamento giustinopolitano fu un ottimo strumento di promozione nazionale e al contempo rientrava nel novero di quelle iniziative collettive che alimentarono l’irredentismo giuliano e promossero l’idea secessionista. La parzialità della Prima Esposizione Provinciale Istriana fu una conseguenza diretta dei dissapori esistenti tra le etnie della regione, che non seppero accantonare la carica nazionalistica, anzi, si trincerarono su posizioni che divennero baluardi inespugnabili. Si deve al capitano provinciale, Lodovico Rizzi, e alla mediazione del governo nonché della Luogotenenza, il tentativo di intavolare delle trattative con gli ambienti politici. Si arrivò quasi ad un accordo; Matko Laginja, deputato al Consiglio dell’Impero, non accantonò la proposta della collaborazione, anzi, riteneva che anche la componente slava dovesse essere in qualche misura coinvolta, sebbene fosse chiaro che la manifestazione avrebbe avuto un carattere essenzialmente italiano. Al contempo, però, si attendeva un sostegno reciproco da parte italiana, qualora si fosse proposta un’esposizione croata. Alla fine non si fece nulla perché la posizione radicale di Vjekoslav Spinčić prevalse. Un’iniziativa che avrebbe potuto costituire un momento di incontro dopo tante polemiche, diatribe e contrasti, naufragò completamente.
Un articolo del 1910 su “Emporium”, rivista mensile illustrata d’arte letteratura scienze e varietà
L’Esposizione di Capodistria, se da un lato era nata emulando i grandi appuntamenti che da tempo si stavano promuovendo, con spirito positivistico, in varie parti del vecchio continente, dall’altro fu espressione della miopia. La proposta di una collaborazione tra italiani, sloveni e croati, che si auspicava potesse andare in porto e contribuisse anche alla buona riuscita di un compromesso nazionale, che avrebbe, finalmente, portato ad una vita politica meno burrascosa in seno alla Dieta, fallì definitivamente.
La descrizione di Willy Dias della Prima Esposizione Provinciale Istriana
Malgrado lo scoglio rappresentato dagli interessi legati alle singole etnie, che impedirono un avvicinamento tra i popoli, l’evento giustinopolitano fu un’occasione in cui la parte economicamente più evoluta dalla penisola espose i risultati delle proprie attività, dell’offerta culturale e didattica nonché quanto ogni singolo segmento della vita italiana del territorio proponeva. La Prima Esposizione Provinciale Istriana fu, pertanto, una festa italiana del lavoro e della cultura.
Grazie alle sette mostre: agraria, industriale, marittima, didattica e di previdenza, di belle arti, scienze e lettere, degli stabilimenti balneari, stazioni climatiche e di villeggiatura sportiva, delle corporazioni autonome e delle istituzioni sanitarie, gli organizzatori proposero una presentazione a tutto tondo dell’Istria. Nella medesima si soffermarono sia sul passato sia sulla situazione vigente agli albori del Novecento. Per la prima volta il grande pubblico poté ammirare e conoscere il ricco patrimonio artistico, esistente nelle chiese, ma anche il retaggio storico-culturale che annoverava la penisola. I reperti scoperti durante le campagne di scavo all’interno dei castellieri, i calchi dei resti romani, il superbo modello in legno dell’Arena di Pola, i documenti di età veneziana, come gli statuti dei comuni, costituivano una parte delle testimonianze giunte nella città di San Nazario. Parallelamente quel rilevante evento di cent’anni or sono abbracciava pure la dimensione del momento, dedicando ampio spazio alle attività economiche ed industriali, quest’ultime, a dire il vero, non ancora ampiamente sviluppate. Particolare interesse riscosse la mostra concernente l’agricoltura e le esposizioni del bestiame. Ampio spazio fu riservato al turismo, che ormai rappresentava un’importante attività, specialmente per località come Grado, Portorose (nell’agosto del 1910, ad esempio, fu inaugurato il celebre hotel Palace), Abbazia e le isole Brioni.
La mostra d’arte antica a Capodistria ripresa da “Rassegna d’arte” di Milano
La sezione riservata all’arte sacra rappresentò indubbiamente l’orgoglio dei promotori. Per la prima volta un notevole numero di oggetti provenienti per lo più dalle chiese della penisola nonché da privati proprietari fu riunito in una sede unica e testimoniava una ricchezza perlopiù misconosciuta. Il non facile lavoro di individuazione delle opere, affidato ad Attilio Tamaro, fu seguito da una serie di accordi con i vescovi, mentre il delicato compito del ritiro e del trasporto delle stesse fu assegnato a Carlo Baxa, segretario dell’esecutivo che annoverava una certa esperienza, poiché fu proprio questi l’organizzatore in capo della mostra d’arte di Pisino del 1907. Grazie al notevole sforzo investito, la manifestazione fu ufficialmente e da tutti riconosciuta come un importante appuntamento culturale alla stregua delle altre mostre d’arte proposte in quel periodo, come, ad esempio, la IX esposizione di Belle Arti di Venezia.
A cura di Kristjan Knez