Mentre l’Istria e Fiume si trovavano a fronteggiare il dramma dell’esodo scoppiò all’improvviso la questione del Cominform, con la nota “Risoluzione dell’Ufficio d’informazioni fra i partiti comunisti e operai”, divulgata il 28 giugno 1948.

La scomunica del regime di Tito da parte di Stalin, ma soprattutto l’embargo e le durissime sanzioni economiche imposte alla Jugoslavia da Mosca (e dagli stati sottoposti alla sua sfera di influenza), misero duramente alla prova le autorità federali.

Le strutture di potere e la polizia politica jugoslave, al fine di mantenere il controllo della situazione, accentuarono la spinta repressiva, attuando un’ulteriore ondata di persecuzioni. La nuova stretta di vite alimentò a dismisura la sensazione di insicurezza e di paura, lo stato di disagio e disorientamento di gran parte della popolazione.

Le accuse di Mosca contro Tito generarono profondi dubbi e un asprissimo confronto, inoltre, tra i semplici militanti, che si trovarono ben presto a doversi schierare tra due fronti contrapposti.

A Fiume ebbe luogo pure un comizio al teatro “Partizan” (Fenice) con protagonisti numerosi lavoratori monfalconesi. L’oratore principale, il noto espopnente comunista triestino di origine slovena Ivan Regent, venne fortemente contestato dai presenti, i quali, interrotto il meeting, organizzarono (guidati dal loro leader Ferdinando Marega) una manifestazione di protesta per le vie della città cantando inni rivoluzionari e inneggiando a Stalin e all’Unione Sovietica.

L’ondata di arresti, persecuzioni e deportazioni non si verificò subito, ma avvenne, in modo massiccio, verso la fine del 1948 e, specialmente, nel 1949 (dopo la seconda Risoluzione del Cominform del novembre di quell’anno), quando furono applicati i più brutali metodi repressivi del tutto simili a quelli usati dal regime stalinista che il PCJ si proponeva di combattere.

Gli eccessi e gli abusi già perpetrati contro gli optanti e chiunque venisse arbitrariamente collocato fra i potenziali “nemici del popolo” proseguirono per diversi anni. L’ondata di arresti e repressioni mise in luce il vero volto poliziesco e autoritario della Jugoslavia di allora, di cui era diventato un simbolo emblematico l’UDBA di Ranković .Aleksandar Rankoviċ, con Tito, Gilas e Kardelj uno dei quattro uomini più potenti del regime jugoslavo, aveva fondato  il 13 maggio del 1944 a Lissa l’OZNA  (Odsek za Zaštitu Naroda), ovvero i servizi segreti militari. Nel 1946, a seguito di una riorganizzazione dell’OZNA, venne costituita l’UDB-a (Uprava Državne Bezbednosti), ovvero i servizi segreti e di controspionaggio civili. Quale Ministro degli Interni della FNRJ, Alexandar Rankoviċ per oltre un ventennio (dal 1946 al 1966) detenne il potere e il controllo assoluto su tutti i servizi segreti del regime jugoslavo,  decidendo l’eliminazione di centinaia di oppositori politici, sia in Patria che all’estero. Rankoviċ, che assunse anche la carica di vicepresidente del Governo federale e di vicepresidente della Federativa, nel 1966, a seguito del Plenum di Brioni, venne rimosso da tutti gli incarichi (dopo la scoperta che l’UDBA stava controllando i telefoni e le comunicazioni di Tito e di tutti i massimi dirigenti jugoslavi). Morì nel 1983 a Ragusa (Dubrovnik).

Contro i cosiddetti “cominformisti” venivano attuate varie misure: dai licenziamenti in tronco, allo sfratto dagli alloggi con l’intera famiglia, agli arresti, le deportazioni in campi di prigionia e alle lunghe detenzioni senza processo, alle brutalità usate nei confronti dei congiunti e dei parenti.

I provvedimenti riguardavano soprattutto l’invio dei perseguitati al lavoro coatto nelle cave di bauxite istriane, nelle miniere di carbone dell’Arsia e alla costruzione della ferrovia “Lupogliano-Stallie”.

Per poter portare a termine gli impegni fissati dal Piano quinquennale, nei vari campi di lavoro venivano inviati coercitivamente, oltre ai cominformisti, migliaia di altri civili, per lo più contadini (vedi: L .GIURICIN: “Le vittime del Cominform…”, p. 256.).

I dissidenti ed i cominformisti dell’area fiumana, invece, venivano destinati al lavoro coatto nel Gorski Kotar. Da un documento rinvenuto presso l’Archivio storico di Fiume risulta che nel 1949 furono inviati ai vari campi gestiti dall’azienda “Kvarner”, impegnata in ampi lavori di sterro in questa regione, 74 cominformisti del Capoluogo quarnerino (PAR, Fondo CPL cittadino di Fiume, Ju 16, busta 59/1949).

I cominformisti ritenuti più pericolosi per il regime finivano invece nel tristemente famoso centro di prigionia di “Goli Otok” (Isola Calva), da cui molti, purtroppo, non ritornarono vivi.

L’esperienza di questo campo di concentramento, a metà fra i lager nazisti ed i gulag stalinisti, avrebbe segnato per sempre e irrimediabilmente la vita dei sopravvissuti.

A tutti i reduci dal campo di prigionia dell’Isola Calva, sottoposti a costanti intimidazioni anche dopo la scarcerazione (e ricattati dalla minaccia di ritorsione contro i loro familiari), venne imposto, per lunghi decenni, di non parlare della loro esperienza.