Gli enormi vuoti prodotti da queste partenze, specie in fatto di risorse intellettuali e di maestranze qualificate per le industrie, furono in parte colmati con il trasferimento dai territori jugoslavi di personale amministrativo e politico, ma anche con l’arrivo di alcune migliaia di operai ed intellettuali provenienti da varie parti d’Italia, in particolare dall’area del Monfalconese. Questa nuova “forza lavoro” venne concentrata nei principali centri industriali della regione, Fiume e a Pola, ma anche in altre località della Jugoslavia (Lubiana, Zagabria, Belgrado, Sarajevo, Spalato, ecc).

Questo cosiddetto «controesodo», fenomeno di ben più limitate proporzioni rispetto all’esodo vero e proprio (in quanto furono coinvolte non più di 3.000-4.000 persone), riguardò non solamente i «cantierini» monfalconesi, ma anche non pochi triestini, goriziani, friulani di matrice antifascista o comunista. Tra essi, però, c’erano anche diversi cittadini italiani provenienti da altre regioni, specie dalla Lombardia, dalla Toscana e dall’Emilia, in maggioranza intellettuali, spinti per motivi di lavoro, ma soprattutto attratti dal «fascino» dell’edificazione socialista della Jugoslavia.

Fiume fu la principale meta del minuscolo esercito di operai qualificati, di tecnici e di intellettuali. Il primo vuoto lasciato nelle istituzioni culturali fu in qualche modo coperto da insegnanti provenienti dall’Italia, richiesti d’urgenza dalle strutture del potere jugoslavo. L’adesione avvenne per il tramite della direzione centrale del PCI e in particolare della sua Federazione milanese, che inviarono in varie riprese diversi gruppi di intellettuali ed operatori culturali. 

Un certo numero fu inserito subito nelle scuole, nelle redazioni giornalistiche e in altre istituzioni culturali, prima fra tutte il “Teatro del Popolo”, il quale in breve tempo arrivò a contare ben 118 artisti italiani, attivi in seno all’orchestra (provenivano quasi interamente dal complesso orchestrale del Teatro Alla Scala di Milano allora in ricostruzione), nella sezione operistica e, soprattutto, nella compagnia di prosa del Dramma Italiano. Fra di essi vi erano numerose personalità della cultura italiana quali, ad esempio, il critico d’arte Mario De Micheli, il figlio dello scrittore Elio Vittorini, il giornalista Giulio De Poli, diventato in seguito un affermato editore in Francia; quindi il primo violino della “Scala” Carlo La Spina, i cantanti lirici Dante Sciaqui ed Enzo Serini, gli attori Sandro Bianchi, Adelaide Gobbi, ai quali si aggiungeranno in seguito Flavio Della Noce, Carlo Montini, Ada Mascheroni e Angelo Benetelli.

Una delle prime notizie dell’arrivo dei monfalconesi venne data dalla «Voce del Popolo» nell’edizione del 17 febbraio 1947. Il quotidiano annunciava l’imminente organizzazione di una riunione pubblica (il 24 dello stesso mese) con i lavoratori della Zona A occupati a Fiume. Poco tempo dopo (il 28 gennaio) la stessa fonte segnalava, con una certa evidenza, l’arrivo a Fiume di una settantina di lavoratori provenienti da oltre la Linea Morgan, che facevano scalo a Fiume per proseguire poi il loro viaggio verso altre località della Jugoslavia, dove era previsto il loro inserimento in vari stabilimenti industriali.

Ma le speranze dei ″monfalconesi″ andarono ben presto deluse. A seguito della Risoluzione del Cominform la gran parte dei protagonisti del «controesodo» dovettero confrontarsi con gli effetti di una durissima ondata repressiva che li colpì direttamente, per la loro posizione internazionalista e tradizionalmente fedele all’Unione Sovietica. La maggioranza degli isontini e degli italiani trasferitisi nel 1947 in Jugoslavia, dopo una durissima esperienza, spesso segnata da persecuzioni, difficili confronti, o duri periodi di prigionia, ritornarono in Italia (dove, ingrossando le file dell’esodo, furono accolti, per la loro “scelta”, con particolare ostilità).