L’autonomia municipale di Fiume. Il processo contro gli autonomisti
D’altro canto, il giornale “La Voce del Popolo”, edito a cura del Comitato Popolare di Liberazione cittadino di Fiume, era sorto proprio allora con il dichiarato fine di “combattere e smascherare il movimento autonomista fiumano” (per quanto avesse assunto proprio la testata dello storico quotidiano autonomista fondato nel 1889).
Di questa autonomia, rispolverata a più riprese dagli esponenti del MPL di Fiume, si fecero interpreti i membri di una delegazione cittadina composta dai rappresentanti dei massimi organismi politici della città nel corso di un incontro, avvenuto il 30 giugno 1945, con il presidente del governo croato Vladimir Bakarić. L’alto esponente politico croato, giunto in visita ufficiale a Sussak, dove incontrò gli esponenti del Fronte Unico Popolare del Litorale croato, fu salutato in quella occasione, a nome della città di Fiume, da Erio Franchi, membro del Fronte Unico Popolare e del Comitato esecutivo dell’UIIF. All’incontro parteciparono, tra gli altri, il presidente del CPL cittadino Pietro Klausberger, il presidente dell’UIIF Dino Faragona, i membri del FULP Bruno Scrobogna e Francesco Kordić, assieme alle altre principali autorità civili e militari della regione.
Il primo ministro croato in questa circostanza rispose di essere pienamente convinto che il Governo croato “avrebbe rispettato le tradizioni democratiche della città di Fiume e, fedele al suo principio di rispettare le minoranze nazionali, avrebbe concesso a Fiume l’autonomia municipale nell’ambito della Jugoslavia federativa e democratica”. A tale scopo l’interlocutore confermò la volontà di “procedere alla stesura di uno statuto con la collaborazione dei rappresentanti della città”.
In una intervista concessa al quotidiano “La Voce del Popolo” il 30 ottobre del 1945, Bakarić ribadì nuovamente questa tesi, assicurando che era precisa intenzione del Governo croato «rispettare con il più largo spirito di comprensione le tradizioni dell’autonomia municipale fiumana, che verrà stabilita in pieno accordo con la popolazione di Fiume e sarà un’autonomia culturale, economica e amministrativa nell’ambito dello stato federato della Croazia».
Il primo ministro croato rilevò inoltre che «gli italiani di Fiume avranno così la più completa garanzia dei loro diritti etnici e culturali che noi, per principio, non intendiamo in alcun modo ostacolare», sottolineando, altresì, che «anche gli italiani della Regione Giulia vedranno rispettata ogni loro tradizione linguistica e culturale».
In quel periodo la stampa approfondì particolarmente l’argomento, ribadendo nei particolari il carattere dell’«autonomia» da concedere alla città di Fiume. Sulla «Voce del Popolo» di quei giorni venivano fatte le seguenti considerazioni: «Anche noi abbiamo richiamato l’attenzione dell’autorità centrale sulle tradizioni fiumane, in virtù delle quali desideriamo essere costituiti, per quanto garantiti sul piano nazionale dalla Costituzione jugoslava, in un ente municipale a sé, dipendente direttamente dalle autorità centrali, saltando la scala gerarchica amministrativa…. Riteniamo sia impossibile equivocare e confondere la nostra autonomia con quella del movimento autonomo reazionario».
Da allora, però, una volta sradicata definitivamente la presenza in città del Movimento autonomista con la liquidazione e l’arresto dei suoi maggiori esponenti, non si sentì più parlare di autonomia municipale a Fiume.
I processi contro gli autonomisti
Qualche giorno dopo, il 21 gennaio 1946, ebbe luogo a Fiume un altro processo politico, intentato questa volta contro quello che era rimasto del movimento autonomista, decapitato nei primi giorni della liberazione. La ripresa del movimento era stata stimolata dall’azione svolta da Riccardo Zanella, che all’epoca aveva creato a Roma l’ «Ufficio di Fiume» con il compito di aiutare la popolazione e i profughi fiumani per mezzo di aiuti e appropriate raccolte di mezzi. Il gruppo autonomista composto da circa una trentina di persone, tra le quali figuravano anche diversi giovani, venne ben presto individuato dalla polizia. La maggior parte di essi furono arrestati verso la fine del 1945, con l’accusa di aver «creato un organizzazione clandestina» il cui obiettivo era di abbattere il potere popolare, attraverso la stampa e la diffusione di manifestini. Sull’intera operazione si pronunciò ancora una volta «La Voce del Popolo» con un articolo del 9 dicembre 1945 nel quale si parlava del contegno «ostile» assunto dagli autonomisti.
La cronaca del processo pubblicata della «Voce del Popolo» il 22 gennaio 1946 rilevava che gli imputati dovevano rispondere addirittura del reato di «appartenenza ad organizzazione profascista e terrorista e di conseguente collaborazione con l’occupatore nazista, di possesso illegale di armi e di altro materiale esplosivo e di propaganda contro l’esistente ordinamento nel territorio amministrato dall’Armata jugoslava». Il tribunale «alla presenza di una grande massa di popolo» dichiarava tutti gli imputati «colpevoli del reato loro ascritto», definendoli «nemici del popolo. Pesanti furono le condanne: a Crespi (in contumacia) vennero inflitti 12 anni di lavori forzati, Carlo Visinko fu condannato a 10 anni, Ferruccio Fantini a 8, Marino Callochira a 5 anni, Erberto Lenshi e Alfredo Polonio-Balbi a 4 anni, Emiro Fantini ad 1 anno, mentre Raul De Angeli venne assolto per insufficienza di prove.
Dopo i “Decreti sull’epurazione” del gennaio 1946, che furono attuati indistintamente contro le varie tipologie di “nemici del popolo” sia nella Zona A sia nella Zona B, vennero promosse numerose altre iniziative per contrastare i dissidenti e tutti i potenziali avversari del regime.
Emblematici a questo riguardo furono, ad esempio, alcuni articoli apparsi, in quel periodo, sulla “Voce del Popolo”. Il loro tono esprimeva in modo esemplificativo il pesante clima di paura e di intimidazione che la popolazione stava vivendo.
La notizia del 2 agosto intitolata “Severe condanne ad un gruppo terroristico neofascista collegato a Trieste” si riferiva al secondo grande processo fiumano, promosso dal Tribunale militare della IV Armata, nei confronti di un folto gruppo di giovani legati all’Azione Cattolica arrestati nel febbraio 1946. Sul banco degli imputati si trovarono una decina di giovani, quasi tutti studenti del Liceo e del Nautico, e alcuni prelati, accusati di aver creato, tra il gennaio e il febbraio 1946, “un’organizzazione neofascista-terroristica”, legata ad “elementi reazionari irredentisti di Trieste”. Anche in questa occasione furono comminate pene severissime per i quattro principali incriminati: Mario Dassovich, Oscar Purkinie, il frate cappuccino padre Nestore e il parroco di Cosala Giacomo Cesare, che furono condannati rispettivamente a 15, 7, 8 e 3 anni di carcere duro.