Circa li vini, questi per consueto ed in tutti li luoghi si fanno senza acqua. Alcuni, levata l’uva dalle vigne l’ottobre, la lasciano nei tinazzi, che cavicchi chiamano, una notte con le raspe, e la mattina cavano il mosto, e questo pongono nelle botti; sovra le raspe gettano dell’acqua, e fanno il secondo vino, detto zonta da loro. Altri l’istesso mosto imbottano, come fanno a Momiano; ed in altri luoghi lo fanno bollire con le sue raspe sette ovver otto giorni, come a Piemonte, e Portole, e questi non fanno altre zonte, ma per le famiglie fanno vini con acqua, che chiamano scavezini, che sono buonissimi, e riescono dolci, e ciò al presente da molti si usa, chiamandoli vini alla lombarda, ma questi nell’estate non durano; in alcuni luoghi come a Buie, diventando acetosi come fan le zonte. A Montona li lasciano bollire tutta la stagione dell’uva, e per questo si conservano dei tinazzi, delle botti a quali cavano un fondo, e finito il bollire rimettono il fondo, e riempiono, e sono vini grossi, e buoni. Ad Isola dove si fanno buone ribuole, dopo il primo vino fanno le zonte, e le seconde zonte con gran utile, ed è cosa mirabile che queste lor zonte prime, e seconde dopo Pasqua e più tardi diventano aceto fortissimo, il che non occorre in altri luoghi dove divengono ruspine, e non passano più oltre; così a Buie succede, e ciò danno causa all’acque, e quella fontana: d’Isola abbia questa proprietà. Si fanno buoni moscati in Capodistria di tutto mosto che vanno fuori con gran credito, e soavissimi al par di quelli di Candia.
Si fanno altri moscati gentili in molti luoghi della provincia. Levata l’uva delle vigne, la pongono su le tavole ovver paglia per qualche giorno, e poi spremuta questa con le sue raspe fanno una coperta al vino bianco, e lo lasciano bollire poco, come un giorno e mezzo; e così il detto vino che è di uve scelte piglia l’odore di moscato e la soavità, e di questi assai abbonda Buie, ed è con tal proporzione: a dodici barille di vino una barilla di mosto moscato. Vi è l’uso di travasar li vini il gennaro ovver febbraro a luna vecchia per conservarli l’estate sicuri. Non usano dare alcuna immaginaria concia, e restano così puri come sono fatti. Le botti che adoperano sono d’albeo, e vengono portate nella provincia da Los Castello. Cosi tinazzi lunghi e stretti, caratelli, orne, e brente, tutte cose, che si adoprano in far li vini. Costano lire sei senza cerchi, durano dodici e quattordici anni, sono cerchiate con quattordici cerchi di frassine, ovvero olmo, o carpano, sono leggiere, e cavato il vino usano lavarle con sgocciate le asciugano con una pezza, se entro fosse rimasta alcuna umidità. Li vini depongono, e si cava per gli speziali la gripola, che vendono due soldi la lira. Le caneve sono in luoghi freschi, ma sovra terra.
Libro primo, Capitolo XXXIV. Modo diverso che usano a far li vini. [pp. 99-100]