Come in tutta la Jugoslavia, anche in Istria e a Fiume, il nuovo potere popolare traeva la propria legittimazione dalle conquiste della guerra di liberazione, che aveva avuto un carattere di rivoluzione sociale, ma nel caso specifico anche dagli obiettivi annessionistici di questi territori alla Croazia e alla Slovenia, ovvero alla Jugoslavia. Il nuovo potere si fondò sui comitati popolari di liberazione (CPL), i quali erano sorti nel corso della guerra con compiti di rifornimento dei generi necessari ai partigiani, per assumere, però, ben presto una funzione politica, cioè di organismi di mobilitazione. La struttura politica amministrativa jugoslava, i CPL, iniziarono ad operare subito dopo l’entrata dei partigiani nei vari centri dell’Istria e a Fiume. Il massimo organo del potere popolare in Istria era rappresentato dal CPL regionale dell’Istria, a Fiume dal CPL cittadino, nel Litorale sloveno dal CPL circondariale; tutti questi, a loro volta e secondo un sistema piramidale, controllavano i CP distrettuali, cittadini o locali. Durante il periodo dell’amministrazione militare (1945-1947), nei CP regionali fu accentrato ogni settore della vita sociale, politica, economica, comprese l’attività legislativa e giudiziaria dell’area di loro competenza. 

Ben presto i CP divennero gli strumenti per l’attuazione pratica della politica del PCJ, per cui, oltre a indirizzare le proprie energie nell’emanazione di tutta una serie di misure, decreti, e ordinanze finalizzati alla legittimazione del proprio potere politico e alla ristrutturazione socio-economica del territorio in questione, i CP rivolsero i maggiori sforzi, anche sul piano legislativo, all’annessione dei territori in questione. La priorità conferita all’obiettivo politico dell’annessione condizionò l’organizzazione interna dei CPL, che divennero organismi politici di partito, con un Comitato esecutivo (CE) al vertice del potere. Il nuovo potere era “popolare” solo nell’aspetto formale, dato che l’instaurazione del potere rivoluzionario comportò in effetti una realtà fondata sulla giustizia sommaria, sull’esercito e sulla polizia segreta. 

Tra il 1945 e il 1948 il regime agì con metodi e modalità staliniani. Gli jugoslavi con entusiasmo emulavano i comportamenti e le modalità di gestione del potere messi in atto in Unione Sovietica. 

L’epurazione del fascismo e dei soggetti considerati “non idonei” riguardò licenziamenti, sequestri, confische, andando a colpire, in momenti diversi, non soltanto i “fascisti e collaborazionisti”, ma anche gli avversari politici, gli esponenti di qualsiasi partito diverso da quello comunista, interi gruppi sociali considerati “capitalistici” (piccola e grande borghesia, ceto medio), i religiosi e gli intellettuali. La legislazione del periodo si rivelò uno strumento determinante nella repressione e nello sradicamento di quanti non erano considerati dal potere popolare “rivoluzionari”. Essa rivelava in questo modo gli aspetti di una cultura e di una mentalità totalitaria e di un radicalismo giudiziario che mettevano in discussione le più semplici libertà, e che individuavano nei soggetti anche solo potenzialmente contrari al regime i simboli del male, definendoli in blocco “nemici del popolo”. I criteri epurativi non furono univoci, ma variarono a seconda delle esigenze specifiche delle singole realtà locali. Nel Circondario di Capodistria l’epurazione fu avviata e organizzata molto tempo prima che nel resto dell’Istria croata e a Fiume, in conseguenza della vicinanza di Trieste. Dopo una fase di iniziale disarticolazione delle commissioni, i metodi ed i criteri dell’epurazione furono uniformati rispetto al resto dell’Istria e di Fiume. 

L’epurazione costituì l’occasione per rafforzare il potere del nuovo regime, ma al tempo stesso per distruggere le basi economiche e quindi la possibilità di permanenza della popolazione italiana, e in questo modo rappresentò uno stimolo poderoso all’esodo dall’Istria e da Fiume. In Istria e a Fiume, territori rivendicati, occupati e parzialmente annessi da parte jugoslava, l’epurazione quindi assunse oggettivamente una valenza snazionalizzatrice.

Le fughe clandestine

A cura di Orietta Moscarda

Le fughe clandestine dall’Istria e dal Quarnero sono strettamente connesse al fenomeno delle opzioni respinte, con le quali le autorità jugoslave negarono a migliaia di persone il diritto alla cittadinanza italiana e il conseguente abbandono dei territori. Le fughe, che si manifestarono via mare, in particolare dalle isole del Quarnero, ma di frequente anche via terra, avvennero non soltanto per motivazioni politiche (anticomunismo, rifiuto dell’opzione), ma anche per il rifiuto di sostenere il servizio militare (nella Marina durava tre anni), per motivazioni economiche (fame e povertà), e per la durezza delle autorità comuniste e il terrore instaurato dalla polizia segreta jugoslava.

Le fughe aumentarono soprattutto nel 1949 quando, a conclusione delle prime opzioni (marzo 1948), numerosi cittadini che non avevano usufruito di questo diritto, o ai quali era stata respinta la domanda, tentarono la fuga verso l’Italia, o comunque l’Occidente, con ogni mezzo.

Durante gli espatri illegali, soprattutto lungo le linee di demarcazione tra il territorio istriano già jugoslavo e la zona B, molti giovani trovarono la morte per mano delle Guardie popolari, delle guardie di confine o della polizia segreta. In questo modo, nel febbraio 1949, nei pressi di Piemonte d’Istria dodici giovani tra i 20 e i 30 anni, la maggior parte dei quali proveniva da Cerreto (distretto di Pisino), furono uccisi dalla guardie jugoslave. Nel distretto di Pinguente, nei primi mesi del 1949 si registrarono da parte della polizia segreta 53 fughe illegali e 3 uccisioni durante i tentativi di fuga lungo la zona di demarcazione. Anche nel distretto di Parenzo, le autorità segnalarono una serie di tentativi di fuga di gruppo, che si consumarono con l’uccisione e l’arresto di alcune persone, mentre 4 riuscirono a varcare il confine. Nel distretto di Pisino, nel maggio 1949 furono arrestate 47 persone, accusate di tentativo di fuga nei pressi di Montona e condannate al massimo della pena.

In questa moltitudine di tentativi di espatrio illegale, una parte riuscì a varcare il confine, ma tanti giovani vi lasciarono la vita.