Non solo Garibaldi è conosciuto come “eroe dei due mondi”. Vi è un altro personaggio indicato in tal modo, proveniente dall’Istria ma da più di mezzo secolo cittadino statunitense. Chi è appassionato di motori conosce perfettamente il suo nome: Mario Gabriele Andretti, nato a Montona, allora italiana, il 28 febbraio 1940. Uno dei più grandi piloti automobilistici della storia che ancora, passati gli ottant’anni, si concede il lusso di fare test in pista di bolidi di varie categorie e progetta l’esordio di un suo team di Formula 1 per sostenere il figlio Michael, anche lui pilota ma non certo all’altezza del padre.

Nel dopoguerra, dopo il passaggio dell’Istria alla Jugoslavia, la famiglia Andretti fu dislocata in un campo profughi di Lucca. Fin da bambino Mario appassionato di automobilismo assistette alle prime gare all’età di tredici anni e fu spettatore della Mille Miglia e prima di abbandonare l’Italia svolse il lavoro di aiutante meccanico in un’officina di Lucca. Nel 1955 ottenne, insieme alla sua famiglia, il visto di ingresso per gli Stati Uniti stabilendosi a Nazareth, in Pennsylvania, e nel 1964 divenne cittadino statunitense.

Insieme al fratello gemello Aldo, nel 1958, cominciò a correre in gare locali di “dirt track racing”, una competizione corsa su piste di forma ovale, la più diffusa forma di gara automobilistica negli USA. Alternandosi alla guida di una vettura turismo da loro elaborata, i due ottennero subito ottimi risultati ma, dopo un incidente quasi fatale occorso al fratello, Mario passò ad altre categorie motoristiche di moda negli Stati Uniti, creandosi via via una solida reputazione.

Nelle varie gare per monoposto (disputate su vari ovali e su qualche tracciato stradale) ottenne la prima vittoria nel 1965, conquistando quell’anno anche il titolo e riconfermandosi nel 1966. Si cimentò contemporaneamente in diverse categorie, debuttando anche, dal 1965, con le vetture sport, con cui disputò poi per anni gare selezionate del campionato CanAm e del Mondiale Marche. Conquistò così per ben tre volte la 12 Ore di Sebring (assoluta nel 1967 e nel 1970, vittoria di classe nel 1969) e salì più di una volta sul podio della 24 Ore di Le Mans, cui partecipa per la prima volta nel 1966 al volante di una Ford GT40, mentre nel 1967 partecipa al campionato NASCAR, vincendo poi in questa categoria la 500 miglia di Daytona. Gli anni della Formula 1 iniziarono l’anno successivo, ingaggiato dalla Lotus, con alterne fortune tra scelte di scuderia e ritiri. In quegli anni, però, nel 1969, nel campionato USAC, vinse la prestigiosa 500 Miglia di Indianapolis.

Furono gli anni successivi in F1 che gli diedero la notorietà mondiale. Con la March, nel 1970, corse 5 Gran Premi e conquistò il suo primo podio, giungendo terzo nel Gran Premio di Spagna. Per gli italiani, però, un pilota non è un grande campione se non approda alla Ferrari. Per Andretti questo avvenne nel 1971, esordendo con la vittoria nel Gran Premio del Sudafrica. Ingaggio ripetuto anche nella stagione successiva, senza risultati eclatanti, ottenendo però 4 vittorie in gare riservate per vetture sport. Prendendosi una momentanea pausa dalla F1, Andretti corse assiduamente in America, ma nel ’74 rientrò con una scuderia statunitense, la Parnelli, con cui nel 1975 conquistò punti nella classifica mondiale. Nel 1976 concluse la stagione con la Lotus, con cui ottenne una vittoria nell’ultima gara, in Giappone ed altri prestigiosi risultati. Era da 31 gare che il team inglese non vinceva e il digiuno fu quindi interrotto da Andretti, aprendo una fase luminosa per la scuderia d’appartenenza. I due anni successivi furono trionfali: nel 1977 la Lotus lanciò il modello 78, con fondamentali innovazioni tecnologiche e il pilota istriano conquistò 4 vittorie e chiuse al terzo posto il campionato mondiale. Risultato che prefigurò il trionfo dell’anno successivo. Infatti il nuovo modello Lotus 79 si dimostrò quasi imbattibile e Andretti con 6 vittorie e 8 pole position diventò campione del mondo. Una gioia però funestata dalla morte del suo compagno di scuderia Ronnie Peterson per i postumi dell’incidente occorsogli al Gran Premio d’Italia. I risultati positivi di quell’anno non furono ripetuti dalla Lotus nei due anni successivi per cui i rapporti tra Andretti e la scuderia si interruppero nel 1980. I contratti con l’Alfa Romeo, poi con la Williams e un fugace ritorno alla Ferrari in sostituzione di Didier Pironi, fratturatosi le gambe in un incidente che però non gli precluse, per il vantaggio accumulato, la conquista del titolo mondiale, fece concludere in bellezza, poiché con buoni risultati Andretti contribuì alla conquista del titolo costruttori per il “Cavallino Rampante”, la sua carriera in Formula 1, in cui complessivamente aveva vinto 12 Gran Premi e conseguito molti altri prestigiosi piazzamenti.

Abbandonata la Formula 1, continuò per molti anni in altre tipologie automobilistiche in voga negli USA. Vinse, ad esempio, il titolo CART, una delle serie più spettacolari a cui parteciparono spesso i grandi campioni della F1, nel 1984. Dal 1983 al 1994 corse esclusivamente con la scuderia fondata dall’attore Paul Newman con l’amico impresario Carl Haas. Pur annunciando il suo ritiro dalle corse in monoposto alla fine del 1994, a 54 anni, Andretti dichiarò di voler continuare a correre ancora la 24 Ore di Le Mans, cosa che fece fino al 2000.

Ma una nuova generazione si stava mettendo in luce e Mario partecipò alla cogestione della scuderia del figlio Michael; ma la sua volontà di donare la sua esperienza per qualificare la macchina del figlio nel 2003 a Indianapolis, si risolse in un drammatico incidente da cui, però, Mario uscì fortunatamente illeso. Neppure questo spavento riuscì a convincere Andretti a desistere dalle gare, anche se con iniziative dimostrative rivolte agli appassionati, tecnici e no, degli sport motoristici. Commozione provocò, nel 2012, quando Mario ha 73 anni, i giri di pista sul circuito di Austin prima del Gran Premio di Formula 1, al volante della vecchia Lotus con la quale si laureò campione del mondo 34 anni prima.

Negli Stati Uniti vi è, in tutti gli sport, la consuetudine di ricordare i grandi campioni e i grandi tecnici nei loro templi della memoria. Così fu per Andretti che nel 2005 fu inserito nell’Automotive Hall of Fame; l’anno successivo, ricevette in Italia, l’onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana, che ne ricorda le sue origini istriane, per cui, nel 2007, è stato nominato sindaco del Libero Comune di Montona in Esilio.

Riconoscimenti meritati per un pilota che nella sua lunga e prestigiosa carriera ha corso 897 gare, vincendone 111 e conquistando 109 pole position. Una carriera che sembra di fatto non aver ancora fine perché la sua eterna passione per le corse continua poiché egli è capostipite di una dinastia di piloti in varie categorie, i figli Michael e Jeff, avuti dalla moglie Dee Ann, sposata il 25 novembre 1961, e i nipoti John e Marco, tutti attenti ascoltatori dei consigli del “grande vecchio”, portatore di una storia partita dalla tragedia dell’Esodo che lo ha temprato alle difficoltà e ai rischi senza mai piegarlo e che continua anche in altri campi come la Andretti Winery, fondata nel 1996 a Napa, in California: 42 acri dedicati alla produzione di vini che portano nel mondo il suo nome ma anche quello dell’Istria. 

Un personaggio straordinario che ha vinto in tutto il mondo e non ha mai annunciato un vero e proprio ritiro dalle corse. Al punto che con la Andretti Autosport (poi Andretti Global) punta, attualmente, ad avere una scuderia in Formula 1, e questo avviene già dal 2023 e che per il 2024 si vocifera di un suo ritorno in pista ad Austin quando dovrebbe diventare il pilota più anziano della storia.

A cura di Diego Redivo