Rodolfo Volk
Così cantava il popolo del Testaccio (il primo campo di gioco della Roma) inneggiando a colui che sarà, nella storia, uno dei principali goleador della squadra della Capitale, ovvero Rodolfo Volk, nato a Fiume il 14 gennaio 1906 e morto a Nemi il 2 ottobre 1983. Uomo che, al contrario del “cogito ergo sum” di cartesiana memoria, di se stesso diceva “io non penso, tiro”, il che non deve apparire riduttivo della persona ma anzi ciò appare, per un calciatore, una dote fondamentale di immediatezza e velocità realizzativa. Di gol Volk ne ha segnati tanti in una carriera iniziata nel Gloria Fiume in Seconda Divisione. Il calcio dell’epoca, poco più che agli albori, frequentemente riorganizzava le sue competizioni e nel 1925 le due squadre fiumane furono ammesse alla Prima Divisione, fondendosi, l’anno successivo, nella Fiumana, squadra in cui Volk giocherà solo anni dopo perché, all’epoca, gravato del servizio militare a Firenze giocò con molteplici ristrettezze, tra cui la necessità di usare uno pseudonimo, Rodolfo Bolteni, nella squadra di quella città, nella quale giocò 14 partite segnando 11 reti.
Ritornato nella città natale giocò con la Fiumana, segnando 16 reti che contribuirono alla promozione in Divisione Nazionale. Ormai con gli occhi di tutte le maggiori squadre puntati addosso, dopo contenziosi burocratici, nel 1928, Volk approdò alla Roma, iniziando gli anni più luminosi della sua carriera, diventando un idolo delle folle. Il fenomeno “Roma” aveva una grande motivazione simbolica legata all’idealità fascista, in quegli anni impegnata in una profondissima riqualificazione archeologica della “Città Eterna” e il calcio non poté esserne esente, giungendo ad una fusione delle squadre cittadine per creare l’Associazione Sportiva Roma (ASR) che avrebbe dovuto supportare lo sforzo “glorioso” previsto per la città. Di tutto questo non c’è dubbio che ne beneficiò anche Volk.
Nel primo anno segnò 24 reti. Nel campionato successivo ne segnò 21 tra cui la rete decisiva del primo derby con la Lazio (contro cui realizzò, negli anni, complessivamente 7 gol) ed altre 3 contro un club francese, prima partita di una squadra italiana contro un’altra europea. Nella terza stagione romana (1930-31) ne segnò 29 e risultò essere il miglior marcatore della Serie A. Con 17 e 12 reti nei due anni successivi chiuse la sua carriera romana, in cui, in totale aveva giocato 157 partite segnando 103 gol, il che lo pone ancor oggi ai primi posti dei marcatori della storia della Roma. Curiosa appare la vicenda degli pseudonimi e dei soprannomi affibbiatigli: dal nome Rodolfo Bolteni, con cui giocò a Firenze, all’italianizzazione in Folchi del suo cognome, al “Sigghefrido”, storpiatura romanesca di Sigfrido, per la sua forza e solidità corporea (biondo, alto 1,86 e dotato di grande forza), a quello più caustico, nei confronti del re Vittorio Emanuele III, noto come “sciaboletta” per la bassa statura che comportava l’accorciamento della sciabola dei militari, che per Volk diventò “sciabbolone” per il suo tiro forte e radente.
Finita l’esperienza romana, scese di categoria a Pisa e poi tornò in Serie A con la Triestina (1934-35) dove, però, con poche presenze e una sola rete, chiuse con il massimo campionato. Rientrato alla Fiumana giocò per altri 7 anni, segnando ancora molto (90 gol con 161 partite) ma militando in serie C e, alla fine in B, dove aveva riportato la Fiumana ma in cui concluse la sua carriera nel 1941-42.
Un giocatore Volk che in altri tempi, sarebbe stato stabilmente convocato in Nazionale ma che, invece, ebbe la sfortuna di capitare nel periodo d’oro di altri fuoriclasse, in primis Giuseppe Meazza, in un’epoca in cui l’Italia vinse due titoli mondiali (1934 e 1938) e il titolo olimpico (1936). Per cui a Rodolfo si spalancarono solo le porte della Nazionale B con cui giocò 5 partite, segnando 5 reti.
Triste fu il suo declino umano una volta smesso di giocare e dopo la guerra, figlio dell’esodo giuliano dalmata, con cui perse tutto: casa, lavoro, conti bancari e non fu neanche possibile ricostruire i suoi contributi Inps di un decennio di lavoro alla Romsa, che era l’Agip di Fiume.
L’ex campione, con la seconda moglie Maria (la prima, Giovanna, era morta nel 1934) e i due figli maschi, fu esule a Gorizia, Trieste, Udine per poi essere smistato nel campo profughi di Laterina, in provincia di Arezzo. Qui Volk rimase in condizioni precarie per quasi due lustri, fino al 1956, nonostante le continue e vane ricerche di un impiego dignitoso.
Quindi tornò a Roma divenendo usciere nella sede del Totocalcio e a metà degli anni Sessanta fattorino della piscina coperta del CONI al Foro Italico. Ma con la pensione misera con cui cercava di sopravvivere, morì nella notte tra il 2 e 3 ottobre 1983 in una casa di cura dei Castelli Romani, per problemi cardiaci, solo ed ormai ridotto in miseria. Come lo ricordò alla morte una celebrità del calcio italiano, compagno di squadra di Volk, e decenni dopo allenatore della Nazionale italiana, l’amico Fulvio Bernardini “L’uomo? Sembrava serio e taciturno ma quando si scioglieva era scherzoso ed allegro. Per una soffiata del portiere di Via di Torre Vecchia 319 lo ripescai un paio d’anni or sono e per un anno ristabilì i contatti ma improvvisamente sparì dalla circolazione. […] Uomini come lui non dovrebbero morire mai!”.
A cura di Diego Redivo