Antonio Grossich
Dopo l’esito negativo al concorso di fisico comunale della città (1884), Grossich si trasferì nuovamente nella capitale asburgica, dove ebbe modo di specializzarsi in ostetricia e in chirurgia prima di far ritorno nella città di S. Vito e partecipare al concorso per il posto di primario chirurgo bandito dall’ospedale civico, che gli fu assegnato nel 1886. L’arrivo del medico e la sua amicizia con alcuni dei più illustri chirurghi dell’epoca fecero acquisire all’ospedale fiumano una rinomanza a livello europeo come non si era mai vista prima. Nel frattempo iniziò a partecipare attivamente alla vita politica della città, che culminò nel 1897 con la sua adesione al partito autonomista di Michele Maylander.
Antonio Grossich, tuttavia, diede il meglio di sé nella ricerca medica, che gli permise di trovare soluzione ad uno dei più grossi problemi scientifici ancora insoluti, quello dell’antisepsi chirurgica. Dal 1907, infatti, il medico istriano cominciò a sperimentare un nuovo metodo di disinfezione cutanea (“metodo Grossich”) che utilizzava la tintura di iodio sotto forma di pennellazioni sul campo operatorio prima dell’intervento, un metodo che col tempo si affermò a livello internazionale rendendo più sicuro l’intervento chirurgico. Al culmine della notorietà, nel 1914 Grossich venne eletto secondo vicepresidente del Consiglio comunale, ma l’impegno politico gli attirò addosso gli strali del governo austriaco che lo considerava un personaggio scomodo e pericoloso. Confinato a Vienna fino al 1918, una volta ritornato a Fiume fu chiamato alla guida del Consiglio nazionale italiano partecipando attivamente alla redazione del Proclama che rivendicava il diritto di autodecisione per la città, proclamandone l’annessione all’Italia (30 ottobre). Per ottenere la formale assegnazione di Fiume all’Italia, nel 1919 Antonio Grossich si recò alla Conferenza della pace di Parigi, dove si appellò al senso di giustizia della stessa fiducioso che il plebiscito sarebbe stato ratificato.
A Fiume, intanto, la situazione iniziò a farsi sempre più tesa e, nel luglio 1919, scoppiarono gravissimi incidenti tra la popolazione locale e reparti francesi del corpo d’occupazione alleato che indussero quest’ultimo a ritirare il contingente italiano; tale comportamento fu ritenuto assai pericoloso poiché faceva presagire un possibile cedimento del governo italiano, presieduto da Francesco Saverio Nitti, con la conseguente assegnazione di Fiume al neocostituito Regno dei Serbi Croati e Sloveni (SHS). L’uso della forza sembrò allora l’unica soluzione possibile, per cui, su pressante invito di alcuni ambienti militari, del Consiglio nazionale italiano e dello stesso Grossich, un contingente di volontari guidati da Gabriele D’Annunzio entrò a Fiume il 12 settembre mettendo fine all’occupazione interalleata della città.
Nel giro di pochi mesi, però, i rapporti tra D’Annunzio e il nuovo Consiglio nazionale di Antonio Grossich si fecero sempre più contrastanti. Lo stato di tensione latente tra i due interlocutori divenne palese nel dicembre 1919 in occasione del plebiscito sul nuovo modus vivendi proposto dal governo di Roma, considerato accettabile dalle autorità fiumane, che fu tuttavia osteggiato e interrotto con la forza dal Comandante. Gli scontri tra il Consiglio nazionale italiano e D’Annunzio s’inasprirono ulteriormente nel 1920 quando, nel pieno delle trattative tra i governi di Roma e Belgrado per risolvere la delicata questione adriatica, una delegazione guidata da Antonio Grossich s’incontrò con il presidente del consiglio Nitti per chiedere l’annessione di “(…) tutta l’Istria con Fiume fino all’Eneo”, senza, per altro, ottenere da questi alcuna conferma. D’Annunzio, che non aveva gradito la visita dei rappresentanti fiumani a Roma, definì la loro condotta “non ammirabile” in quanto lesiva dei suoi diritti sovrani e un’indebita ingerenza nella sua politica, e condannò duramente il Grossich per aver accettato d’incontrare il governo nonostante l’arresto di due delegati fiumani avvenuto dopo gli scontri tra la polizia ed i partecipanti a una manifestazione celebrativa per ricordare l’entrata in guerra dell’Italia.
Si trattò del preludio alla rottura definitiva dei rapporti già tesi tra il Consiglio nazionale di Grossich e il Comandante, che divenne tale quando, sul finire dell’estate 1920, il poeta-soldato manifestò il proposito di una soluzione politica della questione fiumana consistente nella creazione di una Reggenza italiana del Carnaro, retta da un nuovo statuto presentato come Ordinamento dello Stato libero di Fiume (Carta del Carnaro). In tutta risposta l’8 settembre il Consiglio nazionale rassegnò in massa le dimissioni, delegando i poteri a un Comitato direttivo cui fu assegnato l’incarico di indire le elezioni per la Costituente e di amministrare il paese fino alla formazione del nuovo governo.
Sul fronte italiano, intanto, il presidente del consiglio, Giovanni Giolitti, subentrato a Francesco Nitti, aveva accelerato le trattative con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nel tentativo di chiudere quanto più rapidamente la questione adriatica e, il 12 novembre 1920, i due governi firmarono il Trattato di Rapallo che stabiliva i confini tra i due stati e le rispettive sovranità. In conformità all’accordo fu creato lo “Stato libero di Fiume”, il cui territorio doveva essere delimitato dai confini della città e del suo distretto con un ulteriore striscia di territorio che ne garantiva la continuità territoriale con il Regno d’Italia. La reazione di D’Annunzio al Trattato, che significava il crollo della Reggenza e delle sue ambizioni, fu feroce: fallito ogni tentativo di soluzione pacifica della Reggenza, il braccio di ferro tra governo italiano e D’Annunzio sfociò negli scontri armati del tragico “Natale di sangue” e nella successiva resa del Comandante (31dicembre).
Antonio Grossich, nonostante l’amarezza del Trattato di Rapallo e dei sanguinosi avvenimenti di Natale, accettò nuovamente di presiedere un governo provvisorio che guidò fino alle elezioni del 24 aprile 1921, svoltesi in un clima di accese tensioni tra il Blocco nazionale, annessionista e filoitaliano, e gli autonomisti guidati da Riccardo Zanella. La vittoria autonomista fu seguita da gravi disordini che portarono alle dimissioni di Grossich e alla presidenza Zannella, incapace di far tornare alla normalità la vita cittadina e travolta, il 3 marzo 1922, da una rivolta armata organizzata dai fautori di un’immediata annessione all’Italia. In segno di protesta, la maggioranza autonomista decise allora di abbandonare la città, una circostanza che permise ad Antonio Grossich ed ai consiglieri appartenenti al gruppo nazionale di affidare ad Attilio Depoli l’incarico di esercitare il potere amministrativo e politico. Ad ogni modo, la breve e tribolata stagione dello “Stato libero di Fiume” ebbe il suo epilogo il 27 gennaio 1924 con la firma del Trattato di Roma tra l’Italia ed il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Il Grossich, che per i servizi resi alla Patria era stato nominato Senatore del Regno (19 aprile 1923), fu tra coloro che il 16 marzo 1924 accolsero Vittorio Emanuele III giunto a Fiume per proclamare l’annessione della città all’Italia; la lunga battaglia politica che aveva combattuto affinché ciò si avverasse poteva dirsi finalmente conclusa. Diciotto mesi più tardi, 1’1 di ottobre del 1926, si spense a Fiume, stroncato da un improvviso attacco cardiaco.
A cura di Rino Cigui