Domenico Lovisato
Dopo il conflitto Lovisato rimase amareggiato in quanto la sua terra istriana continuava ad essere soggetta alla corona asburgica, le critiche mosse alle autorità italiane non piacquero, perciò fu trasferito a Sondrio ove iniziò ad insegnare matematica in quel liceo. La permanenza in Valtellina fu di particolare importanza per la sua carriera scientifica. Trovandosi in un ambiente circondato da montagne volle conoscere la loro natura. Proprio in quel torno di tempo cominciò ad interessarsi alla geologia, materia che diverrà la sua grande passione, grazie alla quale acquisì fama mondiale. La presenza dell’istriano irritò nuovamente le autorità, perciò fu spostato inizialmente in Sardegna, a Sassari, successivamente in Sicilia, a Girgenti (l’odierna Agrigento), nonché a Catanzaro in Calabria. Qui il giovane ricercatore iniziò ad interessarsi alla geologia e alla paleontologia. Grazie ai risultati dei suoi studi ebbe il titolo per passare all’insegnamento universitario. Nel 1879 iniziò la docenza all’Università di Sassari, mentre nel 1884 passò a quella di Cagliari, dato che aveva vinto la cattedra di Mineralogia e Geologia. Vi rimase sino alla morte, avvenuta il 23 febbraio 1916. In terra sarda svolse innumerevoli ricerche, nel 1881 lo troviamo invece in Patagonia e nella Terra del Fuoco (Argentina meridionale). La spedizione venne organizzata dalla Società Geografica Italiana. I suoi studi, concernenti prevalentemente la geologia, furono pubblicati su varie riviste scientifiche come gli “Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei”, nella “Rivista Italiana di Paleontologia”, nel “Bollettino di Paleontologia”, nella “Rivista Geografica Italiana”, nel “Bollettino della Società Adriatica di Scienze Naturali” di Trieste, ecc. Pubblicò più di cento opere scientifiche, in prevalenza contributi originali sulla geologia sarda, inseriti negli atti e nei bollettini delle più prestigiose accademie e società italiane di scienza.
Approfondimento sull’opera “Cenni geografico-etnografico-geologici sopra l’Istria”
Grazie alla sua popolarità fu invitato a tenere delle conferenze anche a Udine, a Gorizia, a Trieste ed in Istria, e ad ogni incontro il pubblico lo accoglieva trionfalmente. Di fronte a tale scenario, a ridosso dell’impiccagione di Oberdan (1882), le autorità asburgiche iniziarono a sospettare che tali incontri potessero celare uno sfondo politico, pertanto decisero di bandirlo dai territori dell’Impero austro-ungarico. Visitò Isola nel 1890, grazie ad un permesso ottenuto, che gli consentì di vedere la madre inferma. L’arrivo dello scienziato e garibaldino rappresentò un evento di notevole valenza, tant’è che al molo fu atteso sia dalla popolazione sia dagli studenti del Liceo di Capodistria.
Con la sua dipartita venne a mancare uno dei grandi nomi della geologia; i suoi funerali furono organizzati in forma solenne. Vi fu una notevole partecipazione da parte delle autorità, ma anche del popolo. Intervennero il rettore dell’Ateneo, il preside della Facoltà di scienze e il rappresentante del Comune.
Il 20 settembre 1922, con una cerimonia solenne, sopra la porta della casa natale di Domenico Lovisato a Isola, fu collocata una lastra marmorea in onore del grande isolano, che fu “ardente patriota e insigne scienziato, carissimo a Garibaldi, che sui campi di battaglia conobbe l’immenso onore ch’egli portava all’Italia”. Il testo, compilato dall’erudito triestino Attilio Hortis, recitava:
Nato in questa casa avita
addì XII agosto MDCCCXLII
morto in Cagliari il XXIII febbraio MCMXVI
Domenico Lovisato
matematico e geologo
il nome istriano onorò sulle cattedre universitarie
e sui campi di battaglia con Garibaldi che l’ebbe carissimo
addì XX settembre MCMXXII posero i cittadini
Nel 1953, la targa fu distrutta. Dopo oltre mezzo secolo, nel luglio 2007, in occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi, grazie all’interessamento della Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana di Isola e alla sua volontà di recuperare la storia cittadina (in modo particolare grazie a Silvano Sau), una nuova targa, con il testo originario, ritornò sulla facciata dell’edificio.
A cura di Kristjan Knez