Il 7 ottobre 1571 nel Golfo di Patrasso si consumò lo scontro navale delle Curzolari, dal nome dell’arcipelago, oggi non più esistente a causa dei materiali alluvionali trasportati dal fiume Acheleoo che hanno modificato la geografia dell’area. Si tratta della battaglia di Lepanto (Nafpaktos), com’è conosciuta dal XIX secolo, sebbene sia una denominazione impropria, giacché in quella località si trovava solo il porto dal quale la flotta ottomana era salpata per fronteggiare quella della Lega Santa.

Battaglia di Lepanto

Un dipinto raffigurante la Battaglia di Lepanto (artista sconosciuto)

Grazie a papa Pio V, il 27 maggio 1571 fu conclusa la Lega Santa tra la Spagna, Venezia e lo Stato Pontificio, a cui aderirono il duca di Parma, il granduca di Toscana, il duca di Savoia, l’Ordine di Malta, la Repubblica di Genova, il duca di Urbino. Capitano generale fu don Giovanni d’Austria, figlio illegittimo di Carlo V. Da Messina, in cui si riunirono gli alleati, il fratellastro dell’imperatore Filippo II mosse verso oriente. La flotta turca al comando di Mehmet Alì Pascià, invece, una volta entrata nelle acque ioniche trovò riparo nel Golfo di Patrasso. Il 6 ottobre 1571 il comandante supremo ottomano uscì per muovere contro gli avversari all’imboccatura di Lepanto, presso le isole Curzolari. 7 ottobre si arrivò allo scontro presso Punta Scropha. Il numero delle unità navali impiegate dai due schieramenti che ebbero raggiunto la formazione di battaglia, in una lunga linea semicircolare, era imponente: oltre quattrocento galee, un centinaio di altre unità navali, comprese le sei galeazze veneziane che si rivelarono decisive per la vittoria, oltre duemilacinquecento cannoni e circa centocinquantamila uomini, tra soldati, marinai e rematori.

Orazione funebre in lode ai morti nella Battaglia di Lepanto

Lo scontro ebbe inizio a metà mattina e fu cruentissimo, con attacchi e furenti combattimenti corpo a corpo che si conclusero solo al tramonto quando i cristiani conquistarono la capitana turca e Ali Pascià cadde ucciso. Le due flotte si scontrarono in due linee di ampie dimensioni che si estendevano tra le due estremità del golfo. Il comandante ottomano auspicava che le sue unità, cioè le due squadre laterali e le galee piccole, grazie alla maggiore facilità negli spostamenti, potessero aggirare le ali della linea avversaria, colpendo dai lati o da dietro, dove le galee era più vulnerabili; la squadra centrale, invece, avrebbe sostenuto una impegnativa lotta difensiva. La Lega Santa era riuscita a portare in una posizione avanzata le sei galeazze veneziane e, grazie alla potenza, alla precisione e alla gittata delle artiglierie montate, ottenne risultati importanti, infatti contribuirono a distruggere o perlomeno a danneggiare seriamente non poche imbarcazioni della Sublime Porta. I turchi, grazie al maggior numero di imbarcazioni, s’impegnarono in una manovra aggirante sul fianco. Gian Andrea Doria, comandante dell’ala destra della flotta cristiana, avanzò troppo in avanti, per evitare l’accerchiamento, lasciando un vuoto tra la sua squadra e quella del centro, ai comandi di don Giovanni d’Austria, accanto al quale si trovavano anche il capitano generale veneziano Sebastiano Venier e il comandante della flotta pontificia Marcantonio Colonna. Le unità perlopiù veneziane dello schieramento cristiano, che si trovavano non lungi dalla costa, grazie ad una temeraria manovra di conversione furono in grado di respingere gli avversari in direzione della riva e con gli attacchi successivi furono quasi annientati. Le due squadre che si trovavano al largo evitarono lo scontro frontale, finché gli ottomani non presero l’iniziativa per aggirare il centro della coalizione cattolica. Sebbene avessero iniziato a catturare delle galee avversarie, l’operazione fu presto bloccata dalla squadra avversaria di riserva, dopodiché si assistette all’attacco da parte di quella rimasta al largo. La battaglia di Lepanto è stata definita di annientamento, fu pure una mattanza che si consumò nel giro di poche ore.

I dati relativi alle perdite variano a seconda della fonte: circa 30.000 ottomani tra morti e feriti, 8-9000 cristiani uccisi e 21.000 feriti. In più furono catturati quasi 3500 prigionieri e furono liberati circa 15.000 rematori cristiani coatti.

Le forze coinvolte nello scontro

Nell’ala sinistra dello schieramento, al comando di Agostino Barbarigo, si trovava la galea di Capodistria “Leone”, al comando del sopracomito Gian Domenico Tacco (il 25 marzo 1571 sostituì Giambattista Gravisi ritiratosi per malattia), esponente di un’antica famiglia patrizia cittadina, che si distinse in un assalto a un’imbarcazione turca. In quel settore si trovavano anche altre galee dell’Adriatico orientale: la “San Nicolò” di Cherso alla guida di Collane Drasio e il “Cristo Risorto” da Veglia agli ordini di Lodovico Cicuta.

La celebrazione della vittoria in alcuni autori capodistriani

Il fanale ottomano a Capodistria

Nell’ala destra erano coinvolte la “San Giovanni” capitanata da Giovanni de Dominis, la “San Trifone” di Cattaro guidata da Girolamo Bisanti e la “Nostra Donna” di Traù comandata da Alvise Cippico. Al centro si trovava la “San Girolamo” di Lesina alle dipendenze di Giovanni Balzi. Nella retroguardia era coinvolta invece la “San Giorgio” di Sebenico al comando di Cristoforo Lucich. A Capodistria, oltre la porta di San Martino, presso il molo della Porporella, fu eretta la colonna di Santa Giustina, che onora Andrea Giustinian, podestà e capitano nel biennio 1570-1571, e rammenta la vittoria di Lepanto. Ai lati del capitello inferiore si trovano gli stemmi delle famiglie Verona e Vergerio nonché quello cittadino. Nel 1896 fu trasportata nel giardinetto non lontano dal Molo delle galere, mentre nel 1935 l’architetto conservatore Ferdinando Forlati la spostò in Piazza Carpaccio, dove tuttora si trova.

A cura di Kristjan Knez