L’Acquedotto istriano
Con lo sviluppo generale registrato nella seconda metà del XIX secolo, la mancanza di un acquedotto capace di soddisfare i bisogni della provincia fu visto come uno svantaggio, che ostacolava seriamente ogni forma di progresso futuro. Per trovare una soluzione nei primi anni del Novecento la Giunta provinciale dell’Istria vagliò alcune proposte per la realizzazione di un acquedotto. Si mossero i comuni (Parenzo, Rovigno, Pola, Pisino, ecc.) che cercarono di risolvere a livello locale in vari modi il problema. L’idea di una rete idrica per l’intera regione rimaneva però un traguardo irraggiungibile.
Nel primo dopoguerra una particolare e prolungata siccità aveva colpito la popolazione contadina. Quest’ultima per porre rimedio a una situazione gravosa, di propria iniziativa aveva iniziato a scavare delle conche nel terreno oppure dei pozzi, che da un lato potevano rappresentare una soluzione ma dall’altro non garantivano un’acqua di qualità. In questo modo furono realizzati circa duemila bacini (i cosiddetti ‘lachi’) per la raccolta dell’acqua piovana. Essi rappresentavano un pericolo neanche tanto latente, infatti, erano una fonte di malattie infettive e al contempo costituivano degli ambienti ideali per la diffusione della malaria, altra piaga della regione.
Sorgenti di S. Giovanni di Pinguente dell’Acquedotto Istriano
Nel 1924 a Venezia si riunì il Comitato per le acque potabili, in quell’occasione il medico provinciale, dott. Beden, inviato dalla Prefettura, espose una dettagliata relazione sulle condizioni idriche esistenti in Istria. Quel Comitato commissionò all’ing. Gino Veronese uno studio che proponesse delle soluzioni per risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico nella penisola. Veronese si mise immediatamente al lavoro, ebbe colloqui con il senatore Chersi e con l’ingegner Possa e con quest’ultimo, che già conosceva la problematica, visitò il territorio, facendo dei rilievi in particolare nei bacini d’acqua. Nel 1928 il Governo assicurò un intervento importante nella Venezia Giulia; era l’anno della legge sulla bonifica integrale (o legge Mussolini) la quale prevedeva una serie di lavori tesi a migliorare le condizioni di vita della popolazione, in primo luogo di quella rurale.
Grazie all’ingaggio di Leone Leone, prefetto della provincia dell’Istria, che a Roma presentò ai ministri (ottobre 1928) il progetto di massima dell’ing. Veronese, il medesimo fu accolto e l’Istria fu inserita tra i comprensori di trasformazione fondiaria. Con il Regio Decreto del 13 marzo 1929 fu costituito il Consorzio per l’Acquedotto Istriano; lo componevano 39 comuni della Provincia sotto l’egida del prefetto Leone. Si riteneva che ci sarebbe voluto mezzo secolo per ammortizzare le spese sostenute complessivamente.
Prima l’inaugurazione a San Giovanni di Pinguente, poi la cerimonia centrale a Buie
Il progetto dell’ing. Gino Veronese divenne finalmente una realtà concreta. Qualche anno dopo, nel 1932, la direzione del comprensorio consorziale fu assegnata all’ing. Giuseppe Muzi. Quest’ultimo, in collaborazione con gli ingg. Contessini, Serafini e Depangher-Manzini, iniziò la revisione dei piani relativi all’acquedotto, o meglio dei suoi segmenti. Si ritenne che per una migliore copertura idrica si dovessero realizzare tre acquedotti autonomi che avrebbero sfruttato tre distinte fonti idriche. Si decise di servirsi della sorgente di Santa Maria del Risano (Acquedotto del Risano), della fonte di San Giovanni di Pinguente (Acquedotto del Quieto) e delle fonti di Arsa e Cosliacco nell’Istria sud-orientale, nel comprensorio della bonifica delle Valli di Arsa e di Carpano. Si trattava di un’impresa notevole e dai costi non indifferenti.
Discorso del ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, Giacomo Acerbo – Buie, 5 novembre 1933
Nell’autunno del 1933 il primo segmento dell’Acquedotto Istriano fu inaugurato ed accolto con generose parole. L’ottenimento dell’acquedotto fu per la regione un evento di importanza capitale, perché “è stata una buona volta liberata da quella specie di stato ipnotico che la opprimeva”. Il senatore Francesco Salata, impossibilitato a presenziare all’inaugurazione, volle salutare quell’impresa con alte considerazioni, che furono proposte in prima pagina sul “Corriere della Sera” del 3 novembre 1933. L’acqua iniziò a zampillare dalle fonti la prima settimana di novembre.
A cura di Kristjan Knez