Nacque a Capodistria il 20 settembre 1880, fu un uomo di mare, irredentista e volontario di guerra. Ad otto mesi d’età si trasferì con la famiglia a Cette (nome in vigore fino al 1927, oggi Sète), in Francia, dove il padre, Giacomo, aveva trovato impiego come palombaro, svolgendo pure l’attività di imprenditore navale e di recuperi marittimi. Nel 1886 rientrò nella città natale; non fu uno studente diligente, nel 1895 abbandonò il secondo anno del ginnasio e trovò impiego nell’azienda del padre, specializzata al salvataggio d’imbarcazioni naufragate.

Nel 1901 sposò Caterina Steffè, da quell’unione nacquero: Nino (1901), Libero (1907), Anita (1908), Italo (1910) e Albania (1914). Iniziò a navigare su velieri e piroscafi, nel 1904 s’iscrisse alla Scuola nautica di Trieste ove ottenne il diploma di capitano di grande cabotaggio. Tra il 1905 e il 1914 comandò i piroscafi a vapore “Carpaccio”, “Cassiopea”, “Vettor Pisani”, “Oltra”, “Capodistria” e “San Giusto”.

Videolezione su Nazario Sauro

Piroscafo "Vettor Pisani"

Piroscafo “Vettor Pisani”

Nel periodo antecedente lo scoppio della Prima guerra mondiale (1908-1914) sostenne gli albanesi che si battevano per l’indipendenza, trasportando armi e munizioni, soprattutto durante le due guerre balcaniche (1912-1913). Sauro apparteneva al gruppo di giovani capodistriani, nati tra gli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo, che dettero forma ad un irredentismo più incisivo, di azione, che con maggiore vigore si proponeva di scalzare la condotta dei padri, accusati di accondiscendere alla politica asburgica. Si trattava di Tino Gavardo (morto nel gennaio del 1914), Girolamo Gravisi, Pio Riego Gambini, Piero Almerigogna, Nazario Sauro per l’appunto ed altri. Erano giovani di orientamento mazziniano, che allo scoppio della guerra europea videro un’occasione per mutare la cornice entro la quale vivevano ed operavano.

Statua di Nazario Sauro nell'omonima riva di Trieste

Statua di Nazario Sauro nell’omonima riva di Trieste

Il 2 settembre 1914 assieme al figlio Nino Sauro abbandonò Capodistria e si trasferì a Venezia. La moglie Nina e gli altri figli li raggiungeranno nell’aprile del 1915. Nel gennaio del 1915 fece parte del gruppo di irredentisti presenti nel Regno, che il presidente dell’Associazione Nazionale Trento-Trieste, Giovanni Giurati, inviò ad Avezzano nella Marsica per prestare soccorso alla popolazione colpita dal violento terremoto, che provocò circa 35 mila morti.

Dopo dieci mesi di neutralità, nel maggio del 1915 il Regno d’Italia entrò in guerra contro l’Impero austro-ungarico. Come fuoriuscito volle rendersi utile all’Italia, pertanto entrò nella regia marina con il grado di tenente di vascello e fu destinato alla piazza militare marittima di Venezia. Grazie alla sua praticità e alla conoscenza dei luoghi lungo l’Adriatico orientale nonché delle difese austro-ungariche, Sauro fu accolto come pilota esperto sulle navi e siluranti. Tra i suoi piani più ambiziosi va ricordato il progetto di occupare Capodistria, mai realizzato in quanto la conquista temporanea della cittadina, militarmente irrilevante, non avrebbe potuto giustificare le perdite sia umane sia materiali di quell’operazione. Il 12 giugno del 1916 Sauro si trovò coinvolto in una grande incursione contro gli hangar di Parenzo. Il piano prevedeva la distruzione degli idrovolanti lì presenti, poiché proprio da quella base partivano per bombardare Venezia. Il 24 giugno, invece, partecipò all’operazione contro Pirano, che si concluse senza combattimenti.

Dalla prima missione del 24 maggio 1915 a bordo del cacciatorpediniere “Bersagliere”, impegnato in un’operazione nella baia di Panzano contro Monfalcone, all’incagliamento del sommergibile “Giacinto Pullino” alla Galiola (30 luglio 1916), Nazario Sauro si trovò impegnato in sessantadue azioni belliche. In quell’occasione l’obiettivo era il siluramento di alcuni piroscafi nel porto di Fiume. L’unità al comando del capitano di corvetta Ubaldo Degli Uberti si arenò poco dopo la mezzanotte. Il 31 luglio l’equipaggio salì su una piccola imbarcazione con l’intenzione di raggiungere le coste italiane, mentre Sauro s’imbarcò su un battello allontanandosi a sudovest del sottomarino per raggiungere l’isola al calare della notte. Da Pola e da Lussino, però, partirono rispettivamente la torpediniera “4TB” e la nave “Satellit” e nel Quarnero gli uomini della marina asburgica catturarono tutti e li condussero a Pola. Il 1º agosto iniziò il processo che durò parecchi giorni; siccome le autorità asburgiche non erano sicure se si trattasse veramente del noto irredentista capodistriano, chiamarono dal campo d’internamento in cui si trovavano sia la madre, Anna Depangher, sia la figlia Maria (sorella di Nazario), le quali però finsero di non conoscerlo. Alla fine fu tradito dal cognato filoaustriaco, che lo palesò. Il 10 agosto 1916 venne impiccato per alto tradimento. Nel 1919 Vittorio Emanuele III gli conferì la medaglia d’oro al valore militare alla memoria.

Monumento a Nazario Sauro a Capodistria

Monumento a Nazario Sauro a Capodistria

La morte di questo uomo di mare divenne immediatamente un emblema del sacrificio degli italiani dell’Adriatico orientale e del loro desiderio di ‘redenzione’, il cui peso aumentò con lo schiudersi della questione adriatica e della ‘vittoria mutilata’. Nel settembre del 1916, Gabriele d’Annunzio, scrisse: “Come Buie è la vedetta dell’Istria, collocata nell’alto cuore della sua terra, così Nazario Sauro è oggi per gli Italiani il vertice spirituale della piccola patria che domani sarà franca”. Il regime fascista, poi, usò la figura di questo capodistriano per sottolineare l’italianità dei territori acquisiti nel primo dopoguerra, che divennero una sorta di ‘baluardo’ contro l’antagonista nell’Adriatico, vale a dire il Regno dei serbi, croati e sloveni, poi Regno di Jugoslavia.

Nella città natale si trovava l’imponente monumento dedicato all’irredentista, opera dell’architetto Enrico Del Debbio e dello scultore Attilio Selva, inaugurato alla presenza del re Vittorio Emanuele III (9 giugno 1935). Nel maggio del 1944 il comando militare tedesco smontò le statue bronzee, mentre nel secondo dopoguerra furono distrutte dalle autorità jugoslave.

A cura di Kristjan Knez