Dario Donati è attivo come scrittore dal 1976 quando ha pubblicato »Il viaggio e altri racconti«. E’ nato a Fiume nel 1925. Laureato in scienze politiche all’Universita’ di Trieste, città dove ha trascorso gli anni giovanili, si è trasferito poi nel Cividalese alle falde del monte Matajur. Collaboratore di diversi periodici, ha pubblicato alcuni volumi di racconti : »Ipotetici amori« ( 976)« Notti brave di provincia (Rebellato, 1978), Racconti cividalesi (Lorenzini, 1982), »Un uomo allo specchio« (Bologna, Boni, 1988) e vari romanzi »Un senso, un amore(1981) »Il veneziano »(Boni, 1981), e »Australia, Australia (Campanotto, Udine 1991).
 

Esuli a Bairnsdale

(da »Australia, Australia«, Campanotto, Udine 1991)

Avrebbe preferito restarsene lì, chissà per quanto, con un altro bicchiere di birra gelata davanti. Basta poco perché il tempo si dilati e un attimo possa contenere l’infinito. E in quell’attimo quante cose tornano alla mente: fatti dimenticati, forse perché si sono voluti dimenticare. Così a Domenico nitido apparve, come dal fondo irraggiungibile di uno specchio, che aveva tutto l’aspetto di un lago di montagna, il viso liscio di Laura. E avrebbe dovuto essere invece quello di Vera. Ma i due volti, almeno per Domenico, sono ora talmente simili che gli è facile confonderli. Così era stato in quella notte dietro la baracca del campo profughi alla luce di una luna che già allora nel cielo gelido gli appariva dilatata. L’aveva preso per quello di Vera. E lei, sorniona, non aveva aperto bocca e aveva lasciato fare. Ma poi all’improvviso era scoppiata in una risata, dentro la quale c’era come un tremore… ma dov’era mai Nereo? Domenico, quando si accorse dell’errore (ma era stato poi un errore? Non aveva piuttosto ingannato sé stesso?) spaventato aveva gettato uno sguardo intorno, quasi Nereo dovesse comparirgli all’improvviso davanti a rimproverargli il tradimento. Amici per la pelle erano stati a Fiume, anche se negli anni disperati avevano militato in campi avversi, ritrovandosi più tardi a Trieste, delusi e avviliti tra le baracche del campo profughi di S. Giovanni. Profughi? “Maledetti esuli!” qualcuno da fuori li insultava ogni tanto. Pareva che fossero venuti a strappare il pane di bocca ai triestini! Quelle due sorelle (ma c’era un’altra di qualche anno più anziana, Irene), anche loro coi genitori in quel campo, li avevano subito attirati. E andavano bene anche per l’età. Nereo, di qualche anno più giovane di Domenico, era stato preso da Laura, e Domenico da Vera, poco più grande dell’altra. E amoreggiavano sotto gli sguardi benevoli dei genitori delle ragazze, entrambi siciliani capitati a Fiume negli ultimi tempi, quando la guerra già batteva alle porte della città liburnica. Ma Vera e Laura erano talmente simili, nonostante la differenza d’età, che la sorte avrebbe potuto decidere anche diversamente. In quella notte di luna però, dietro la baracca che sapeva di catrame e del sudore di tutti quelli che vi erano passati, Domenico si era lasciato andare. Quella tettina pallida, che aveva stretto per un attimo, era riuscita a fargli dimenticare…. Già, perché ora non può negare che si era accorto subito dell’errore, ma che la risata di lei lo aveva poi smontato. “Povero Nereo, amico-nemico di sempre!”. ( …)

Già, Nereo soffriva di rimpianti. Forse non gli era andata come aveva sognato. Forse riteneva di aver sbagliato tutto fin dal principio… Non poteva significare altro quello sguardo. E quel sospiro. Già, proprio il sospiro che ogni tanto gli sfuggiva. No, non era soddisfatto di sé. Ma, questo sì, per i figli sperava un destino migliore. Perciò avrebbe tenuto duro. E poi è vero che, quando si giunge al consuntivo, perfino allora, in quello che dovrebbe essere il momento della verità, senza che te ne accorgi la realtà ti scappa di mano…

La vettura procedeva traballando come prime tra buche e sassi, mentre Nereo parlava sottovoce, lo sguardo fisso davanti a sé, e Domenico, pur tendendo l’orecchio, faceva fatica a intenderne le parole. “Ma ti pare proprio che tutto sia stato così facile?” aveva cominciato. Evidentemente era una domanda che non richiedeva una risposta. E continuò: “Vedi: se ho fatto fortuna, be’ abbastanza per avere un conto in banca e dare una casa a ognuno di loro, lo devo certamente, sì, all’Australia, ma anche alla decisione presa in un certo momento. È stata dura. Per quasi dieci anni ho faticato sotto padrone. E “Nereo qua!”. E “Nereo là!”. Anzi “Nio” mi chiamava, perché non era capace di pronunciare il mio nome, il vecchio satrapo! Sempre pieno di boria e sospettoso, seduto in fondo al magazzino a controllare che non gli portassi via uno spillo da quel buco dove non c’era spazio neanche per sputare… E sempre pronto a sfottermi per giunta! Qualche volta l’avrei ammazzato. Quando per esempio a fine settimana mi faceva la trattenuta perché, nella furia del lavoro, avevo perso o dimenticato una pinza in giro per le farm (…)

 

Pensava a Laura e a ciò che poteva essere accaduto in tutto quel tempo. Alla fuga dei giorni, dei mesi e degli anni. Ma già Nereo aveva ripreso il discorso che, più che a Domenico pareva rivolto a sé stesso: “Ebbene, coi sacrifici avevo messo da parte qualche po’ di moneta. E avevo trovato anche un locale dove avviare un’attività per conto mio e non più a servizio di quel bastardo. Ebbi però la debolezza di parlargliene prima, anche perché mi era parso disposto a mettersi da parte. Era ammalato e stanco e in paese non c’era nessuno che potesse sostituirmi… Lui però mi guardò a lungo dalla sua poltrona in ombra. Poi la sua pancia cominciò a sussultare e parve sul punto di scoppiare per l’allegria. Ed era invece una risata di scherno. Quando si calmò, mi disse che tutt’al più poteva prendermi come socio al venticinque per cento se avessi tirato fuori quei quattro soldi che avevo. Così io avrei continuato a lavorare per lui e lui si sarebbe messo in pensione… Gliene dissi di tutti i colori, sfogando così la mia rabbia di tutti quegli anni, ma lui non si scompose, né mi prese sul serio. E allora mi licenziai. “Vedrai che tornerai e, purché ti riprenda mi bacerai anche il sedere!” mi gridò dietro. Gli sbattei la porta in faccia. Adesso è morto, quel vecchio porco… Ma non è stato facile aprire davanti a lui, te lo giuro! Mi mancava un migliaio di dollari per avere quel posto. Chiesi perciò un prestito a mister l’avvocato, il nostro vicino, il presidente della banca come ti dissi. Lui con tanti bei sorrisi mi invitò a tornare il giorno dopo. E quando mi rifeci vivo, mi chiese la garanzia di qualcuno del posto. Peter, per esempio, il mio padrone, che mi conosceva da tanto e che mi stimava… Capii subito che il vecchio aveva messo le mani avanti” (…)

“Ero disperato. Non gli dissi né di sì né di no. E nei giorni seguenti cercai di risolvere la questione a modo mio. Parlai col compare Antonio, che allora abitava qui a Bairnsdale, e con altri italiani. Tutti si dimostrarono solidali. E allora una sera andai dallo scoreggione e gli disse: o tu mi dai i soldi che mi occorrono o io ritiro i miei. E con me tutti gli altri italiani… “Così anche slavi” aggiunse Stokovaz, Lello per gli amici di qui, il padre di Malvina che mi aveva accompagnato insieme ad Antonio. E allora il buon avvocato si convinse e mi prestò quei mille dollari accontentandosi per garanzia, caso unico negli annali della banca, di una polizza sulla mia vita. Capisci ora? A Lello e ad Antonio devo della riconoscenza e così alla povera Malvina, la figlia di Lello, che, per un disgraziato matrimonio, è costretta ora a questo maledetto mestiere che la mette alla mercé del primo sporcaccione!” Il suo volto s’era fatto duro. Domenico l’aveva ascoltato in silenzio e ora stava riflettendo sull’atteggiamento di Nereo, che gli appariva un po’ contraddittorio. Malvina, ai bordi della vasca, stava passando per terra uno straccio aiutandosi con una scopa. Li vide, si arrestò e lanciò loro un sorriso con la sua bocca rossa, gli occhi le scintillavano. O almeno così parve a Domenico in quell’ora in cui, non più giorno e non ancora notte, tutto è possibile