Da “La Cagnassa e altre storie istriane di mare”
Gregorio
Quando sbarcò la prima volta nel porticciolo Gregorio non si chiamava così. Era un cane piccolo, senza nome, che rabbrividiva sotto il pelo corto sulla tolda del “Santa Maria”; dall’altipiano la bora veniva giù a “sufiazi”, a raffiche violente, frustando le barche, le banchine, il mare livido e grigio. I due chioggiotti rimasero tre giorni sotto coperta, a bestemmiare durante le lunghe partitre a carte, a scaldare vino zuccherato e a friggere pesce senza mai aprire i boccaporti, per tener dentro, con il fumo, tutto il caldo possibile. Si facevano vedere poco anche quando il tempo era buono: andavano a far acqua alla sorgente, ripassavano le reti sul molo, imboccavano il sentiero per il paese solo per rifornirsi di pane e vino. Con gli altri pescatori scambiavano poche parole. Non erano ben visti; si diceva che cavassero le nasse altrui, vuotandole delle prede; che levassero le reti degli altri pescatori, togliendone i pesci più grossi per ributtarle, ammucchiat, in mare; che rubassero, sui moli, tutto quello che non aveva radici. Li chiamavano “ciosoti senza dio” anche se nessuno li aveva mai visti fare quanto i sospetti attribuivano loro. ( …)
Il quarto giorno la bora calò quasi di colpo e dal boccaporto di prua usci il cane. L’animale satò sulla banchina e si mise a correre un po’ di traverso, inciampando, a tratti, sulle reti e i grossi sugheri. Uno dei ciosoti andò al capanno di Gregorio e disse: “Il cane ha fame”. Gregorio tirò fuori da una vecchia madia una scatola di carne, la vuotò sul pavimento aggiungendovi alcuni pezzi di pane e vi versò dell’acqua calda: il cane mangiò tutto senza mai alzare la testa, tenendo alta e e rigida la coda.
“Noi andiamo”, dissse il ciosoto, ed era la prima volta che annunciava una partenza. Gregorio lo guardò: aveva gli occhi verdi di mare, la pelle bruciata dal freddo, le grandi mani tagliate dalle reti. Il cane lo seguì sino alla barca, ma non volle salire a bordo. Rimase per un momento immobile sul molo, le zampe gelate in una pozzza d’acqua. Poi si voltò di scatto e corse, a tratti saltando, verso gli alberi e i cespugli che, a nord, difendevano il porticciolo dalla tramontana. I due del “Santa Maria” non lo aspettarono. Scaldarono il diesel e sciolsero gli ormeggi. Il cane uscì dai cespugli quando il rombo del motore fu lontano. Tornò al capanno di Gregorio e cominciò a grattare la porta, emettendo gemiti e guaiti.
Nessuno sapeva quanti anni avesse Gregorio. In paese si diceva che era arrivato dalla Dalmazia, subito dopo la prima guerra, con una passera lussignana dalle vele gialle e sporche. Era vecchio già allora, ma alto e dritto, le spalle rotonde e le mani dure da marinaio. ( …)
Gregorio aveva abitato a lungo in barca prima di occupare il capanno di barba Jurissevich, diventato troppo vecchio per scendere al porto la mattina all’alba e tornare al paese nel sole del primo pomeriggio, con sulla schiena le cassette del pesce. ( …)
Da quando tenne con se il cane Gregorio comunicò con gli altri ancor meno. Scendendo dal paese i pescatori portavano alla bestiola ogni tanto un osso pieno di polpsa, pane vecchio, qualcuno un avanzo di minestra. Non sapevano come chiamarlo, e fini che diedero al cane lo stesso nome del padrone: Gregorio. ( …)
Toni Marussi scese al porticciolo due giorni dopo, a controllare i danni della mareggiata. Vide la pietra in cima al molo leggermente più alta delle altre, e non vide il vecchio né il cane. Lesse la scritta e si mise a chiamare verso il mare: “Gregorio”. Nessuno rispose.