Luigi  (Gino) Brazzoduro

Nato a Fiume nel 1925 (Pisa 1989) frequenta il Ginnasio classico a Fiume e la Scuola Normale di Pisa dove si laurea in fisica nel 1947. Accanto alla passione per la poesia, nel campo professionale si occupa di ricerca e, come ingegnere e tecnologo, di tecnologia mettallurgica, lavorando per vari enti e in varie acciaierie, a Piombino, Marghera, Genova, Napoli  e alla ferriera di Servola a Trieste. Collabora con varie riviste culturali e letterarie fra cui »La Battana« di Fiume e »Most«. Traduce dallo sloveno in italiano classici e autori sloveni fra cui Srečko Kosovel. Stabilisce un fitto carteggio con Biagio Marin, che verrà pubblicato postumo con il titolo »Dialogo al confine. Scelta di lettere 1978 – 1985« (Pisa, Roma 2001). Nel 1982, dopo il pensionamento si trasferisce definitivamente a Pisa. È del 1980 la prima raccolta “Confine«, segue la raccolta »Oltre le linee« (Pisa 1985), fra cui  »La città inesistente«, »Dialogo sulla speranza«, e le raccolte: »A Itaca non c’è approdo«, (Giardini Editori di Pisa, 1987), »Tra Scilla e Cariddi« (Giardini Editori,Pisa nel 1989).

L’esodo

(da: “A Itaca non c’è approdo”,  Giardini editori, Pisa, 1987)

Scampati ai Faraoni

davanti a noi il Mar Rosso

non divise le sue onde.

Nulla ci fu promesso

oltre.

Era in noi la Promessa,

sola giustificazione dell’Esodo.

Certo soltanto

ogni passo attraverso il deserto

e l’inciampo del dubbio ad ogni

sasso.

Vero per noi quel miraggio

liberato dalla sete,

più del tormento

di aride pietre.

 

 

Verso la terra promessa

(da: Tra Scilla e Cariddi”, Giardini editore, Pisa 1989)

Verso la terra promessa

Già troppe volte

esuli

abbiamo dovuto abbandonare

l’Egitto.

ora sappiamo:

oltre il deserto

nessuna terra

ci è promessa.

Solo nel passo ostinato

si compie il riscatto,

nella polvere dell’esodo

la sola redenzione.

Né arresi

né rassegnati

ad uno ad uno cadremo

inutile sasso fra i sassi,

volti nella giusta direzione.

 

 

Sopravvissuti

(da: Tra Scilla e Cariddi”, Giardini editore, Pisa 1989)

 

Quante case

ci sono crollate addosso –

atterriti superstiti

osserviamo in silenzio

templi e palazzi

rovinati in polvere.

ma il sottile

arco della parola

più della pietra saldo

non ha ceduto.

Solo per questo

ancora

esistiamo.

 

La città inesistente

(da: la raccolta »Oltre le linee« -Pisa 1985),

Oltre il fiume

il nostro silenzio.

(parlano un’altra lingua

di là dal fiume)

Uccelli passano 

dall’una all’altra riva 

Sugli spalti deserti di calcare 

parole straniere.

Solo silenzio 

di vinti ostaggi 

insensato orgoglio 

cieca memoria

Oltre il fiume

ogni giorno ripete

l’acre lezione della storia

alle spalle ancora

l’eco martellante

dai selciati della città

inesistente

– ombre soltanto

scrivono nell’aria 

Sui rami del viale 

i sogni 

sognano ancora 

di noi

di qua dal fiume

 

Confine

(da: raccolta “Confine«, 1980)

In ognuno è il confine

nitido contorno

che nell’aria incide

l’orizzonte

linea impercettibile

come l’ora sfuggente che divide

il giorno dall’ombra

silenzio e suono

memoria e annunciazione

morte e vita

unico fiore

 

 

Itinerari

(da: “A Itaca non c’è approdo”, Giardini Editori di Pisa, 1987),

Non illudetevi:

a Itaca

non c’è approdo.

Nutre il futuro

antiche radici.

Atlantide:

sola nostra destinazione.

 

Città di carta

(da: Tra Scilla e Cariddi”, Giardini editore, Pisa 1989)

Città di carta
senza più amore,
città morta
e pure non so dove
da qualche parte
ancora viva
e come nessun’altra
vera.
Città perduta
città lontana
come sconosciuta
parola straniera.

Ognuno è solo
nella sua minima storia
e l’aria questa sera
è ancora quel vetro di gelo,
chiaro di luna rappreso:
ultima
e la tua prima
notte di primavera.

 

Ultimo sconfinamento
(per Enrico Morovich)

(da: Tra Scilla e Cariddi”, Giardini editore, Pisa 1989)

Davanti a noi
il confine,
limite incerto
inconoscibile.
Forse là
in cima alla collina
inebriata di sole,
o sull’alto
crinale della montagna
azzurra di neve;
forse nell’ombra oscura
che scava il fondo della valle,
o fra le brume della pianura
sull’onda inquieta del fiume –
non sappiamo
dove sia il confine.
Ignari lo attraverseremo
con noncuranza
e solo dalle vaghe voci
degli arcangeli doganieri
capiremo di essere già passati
dall’altra parte.

 

Straniero

(da: Tra Scilla e Cariddi”, Giardini editore, Pisa 1989)

Da lontano
viene lo straniero.
Ha solo occhi pieni di silenzio
per parlare:
la sua lingua non ha parole
che tu intendi.
Nessuno
lo ascolta –
inaffidabile testimone
espatriato da mondi lontani
mai visti,
forse appena immaginati,
da sempre perduti.
Chi mai ascolterà
le sue storie incredibili
in una lingua che per voi
non ha parole – .