Nel 1943 aderì alla lotta partigiana in Istria. Nell’immediato dopoguerra subì le persecuzioni della polizia politica jugoslava (UDBA) a seguito del confronto Tito – Stalin (la crisi del Cominform). Dovette sopportare il peso del lavoro coatto nelle cave di bauxite e lungo la ferrovia Lupogliano-Stallie. L’esperienza lo segnò profondamente costringendolo per anni al silenzio alla morte civile e politica.
Cominciò a scrivere intorno ai trent’anni e proseguì con ritmo sempre più intenso nel dopoguerra, alternando alla composizione di liriche e di opere teatrali in dialetto rovignese lo studio del folclore e delle tradizioni popolari della sua città. Si impegnò nella compagnia filodrammatica della Società artistico culturale “Marco Garbin” della comunità italiana rovignese, per la quale scrisse, nel dialetto rovignese-istrioto, numerose commedie, riviste e bozzetti folkloristici.
Ha partecipato ai concorsi d’arte e di cultura “Istria Nobilissima”, vincendo il primo premio per la poesia nel 1973, nel 1974 e nel 1976 e per il teatro nel 1973, nel 1977 e nel 1982.
Curto ha vinto nel 1975 e nel 1983 il primo premio nel concorso “Poesia in Piazza” di Muggia; e ha ottenuto ampi riconoscimenti per la sua attività poetica in dialetto rovignese a Grado, a Venezia, a Verona, a Fiume, a Zagabria e a Belgrado. Nell’Antologia di “Istria Nobilissima” 1978 furono pubblicati due suoi racconti intitolati “Meingule ingrumade” e “El Consolo ruvigniz” [Briciole raccolte e Il Console rovignese], mentre nell’Antologia del 1968 si pubblicarono le prime poesie
Buona parte della sua opera poetica è stata pubblicata nell’ Antologia delle opere premiate al concorso Istria Nobilissima e sulle pagine della rivista “La Battana” di Fiume. Nel 1983 venne pubblicata la raccolta di poesie “Meingule insanbrade” (Briciole sparse) nell’ambito della Biblioteca istriana (n.3) edita dall’ Unione Italiana e dall’ Università popolare di Trieste. L’ultima silloge è “Spurcheisi da veita” [Sporcizie di vita].Giusto Curto è morto nella sua città il 31 maggio 1988
I ma ganbio i drapi e cradime nu mal dol
sa anche i paro oûn pupo da pisiol,
i son sul mieîo e ma sento un gigante
e qua i nu iè pagoûra manco del cavalgante
La saraia ca geîra in tondo
signa i cunfeîni del mieîo mondo:
sulo qua raspeîro aria poûra,
ultra i iè tanta pagoûra
EL POUPO DA PISIOL (Lo spaventapasseri]
El gira là, fra quìi cànpi da vardoûra
parciuò ca doûti ièbio pagoûra
ma loû gìra treîste e dasparà
namièno oûn can sa farmìva là
li bis’ciuleîne loû uciva cùn riguàrdo
e i uzaliti, ga gìriva làrgo.
contro la liègie dei omi, el vènto zi rabalà
e oûna rafagada l’uò rabaltà
quil taren cume oûna mageîa
da cùlpo el uò ganbià fi luzumeîa
i fi ùri l’uò cuvièrto cùme oûna cultra
quil’ièsare ca nun vìva cùlpa.
(Da “Meingule insambrade”, ed. Biblioteca Istriana n.3, UIIF-UPT, Trieste, 1983)
LA SPARANSA (La speranza)
Giomo cameîna, par rastà gninte
e da quisto feîl, sa siervo doûti
el poûlpito pridica, ma nù cria gninte
l’incenso cuvierzo la verità
l’altar incanta cu i suoi sfarsi
pioû candile, pioû scoûro ti vidi
LA SPERANZA
Gomitolo che si dipana e resta niente
e di questo filo si servono tutti
il pulpito predica ma non crea nulla
l’incenso copre la verità
l’altare incanta con il suo sfarzo
più candele, più scuro vedi
(Antologia delle opere premiate “Istria Nobilissima”, UIIF-UPT, 1973)