Nedeljko Fabrio

Nato nel 1937 a Spalato da padre croato e madre italiana, Nedeljko Fabrio ha trascorso molti anni della sua giovinezza a Fiume. Si è laureato a Zagabria, città nella quale ha operato come scrittore, narratore, drammaturgo, saggista, traduttore, regista alla televisione croata, docente all’Accademia d’arte drammatica di Zagabria. E’ autore di numerosi lavori teatrali, fra cui il dramma il lingua italiana »Il re ha sonno« (1971). Altri sono stati tradotti e eseguiti in inglese, sloveno e polacco. Dall’italiano ha tradotto il romanzo »Il paradiso« di Moravia, »La stanza del vescovo« di Pietro Chiara e »Il mio Carso« di Slataper. Ha curato l’antologia »Posljednji dio puta- L’ultimo tratto di strada«(1984) raccogliendo e traducendo i migliori racconti italiani del periodo postbellico. E’ autore di vari saggi  letterari, alcuni dei  quali dedcati alla letteratura italiana.  Fra le opere più importanti »Lavlja usta- La bocca del leone«(racconti, 1978), »Vježbanje života – Esercitazione alla vita (romanzo, 1985), »Berenikina kosa – La chioma di Berenice« (romanzo , 1989). Dal romanzo »Esercitazione alla vita«, che tratta da vicino la realtà dell’esodo e le visissitudini della componente italiana, è stata tratta un’opera teatrale a cura di Darko Gašparović, e un serial televisivo in dieci puntate. Fra le altre opere: »Smrt Vronjskog- la morte di Vronski«(1994), »Maestro i njegov šegrt- Il maestro e il suo apprendista« (1997), Ruža vjetrova- La rosa dei venti«(2003), »Orfejeva djeca- I figli di Orfeo »(2008).

 

Commiato alla stazione

(da »Esercitazione alla vita«, capitolo XXVIII)

 

Il treno era fermo sul binario occidentale, il più avanzato. Mancavano una ventina di minuti alla partenza. Più nessun viaggiatore si vedeva arrivare, perche’ l’importanza del viaggi li aveva indotti a venire un’ora, perfino due ore prima, per poter sistemare tempestivamente i bagagli a mano e, spinti dai ripetuti consigli delle mogli, verificare se la mobilia era stata caricata sui carri merci agganciati in coda al convoglio. Invece, coloro i quali venivano per salutare i partenti si facevano via via piu’ numerosi man mano che arrsi avvicinava il momento della partenza del treno; costoro arrivavano sulla banchina della stazione rumorosamente, quasi si trattasse di una gita collettiva di Primo Maggio e non di un evento chiamato exodus gia’ dai Greci antichi. Si mescolavano valigie e bambini, viaggiatori e doganieri, personale della ferrovia, parenti e conoscenti di coloro che si accingevano a raggiungere Trieste in treno. Davanti a una carrozza, nella parte centrale del convoghlio, stavano fermi, in crocicchio, conoscenti e vicinidi casa Mafalda. Accanto a Mafalda, appoggiata a un bastone puiantato obliquamente, c’erano Oreste ed Ugo Osojnak. Il figlio sosteneva la mamma tenedola per il braccio, ma quando la donnan si lascio’ sfuggire di mano il bastone, in un momento di disattenmzione o forse di debiolezza, fu Ugo il primo ad affrettarsi, facendo uno sforzo dovuto asll’eta’, per sollevarlo da terra.

Luciano vide ogni cosa, nascosto dietro un grande carrello postale. Era arrvato alla stazione con la scusa di verificare l’orario dei treni affisso nell’apposito riquadro degli arrivi e deklle partenze. Fra qialchje giorno sarebbe partito per agbria, per studiare all’Universita’. Emilia stava conversando con il giovane Francovich, rivolta di faccia verso uciano. Quando l’attenzione degli altri si allento’, il giovane Francovich le chiese, sottovoce:

–          » Luciano verra?

–          Ieri sera ci siamo salutati.. Ma perche’ me lo chiedete?

–          Ho l’impressione che lo stai aspettando..

–           Così dicendo le strinse due volte il braccio, affabilmente.

–           A me non me la fai. Io so tutto.

–          – Ci siamo accordati, non verrà… Il distacco sarebbe ancora più doloroso«.

Ma il giovane Francovich si accorse che Emilia gettava lo sguardo sl di sopra delle spalle e delle teste per frugare con l’occhio la banchina della stazione, scrutando sin dove si triovavano certe locomotive ed altri passeggeri.

  Mi dispiace, Emilia. Per voi due – sussurrò il giovane Francovich, fissando gli occhi della ragazza: e fu come se una pioggia benefica cadesse sulla terra morta.

 Ugo Osojnak faceva chiasso, lui solo. Saopeva che se avesse mollaftro, se avesse cessato solo per un attimo d fare il pagliaccio volontario, tutto sarebbe andato al diavolo. Il commiato si sarebbe trasformato in un dramma. Con  le sue spacconate e un gesticolare borioso, si sforzava di sviare l’attenzione delle persone che lo circondavano dai capannelli di coloro che gli stavano più vicino e nkl cui comportamento era già penetrato un doloroso dramma umano, sicche? Potevano da un momento all’altro scoppiare in pianto.

 Guardava sottecchi le persone che, i cappelli scomposti e le facce grinzose, smangiate, si abbracciavano per l’ennesima volta, orab già come fantocci meccanici, oppure saltellavano sul marciapiede con le braccia penzoloni e  colli curvi; sentiva gli uni che davano agli altri consigli del tutto inutili, e lo facevano con tono molto serio, consigli che riguardavano per esempio gli uccelli lasciati nelle gabbie, a casa, con la raccomandazione di cambiargli l’acqua ogni giorno, non dimenticartelo, altrimenti ci moriranno, povere bestioline! Non si erano ancora abituati a passare al noi, nel quale avevano trascorso l’intera vita, ad una delle tre prime persone del singolare.

 Uno dopo l’altro, finalmente cominciarono a salire sulle carrozze perchè accanto al treno era comparso il capostazione con il berretto rosso in testa. Mentre salivano ascoltavano le promesse gridate ad alta voce da coloro che erano venuti ad accomiatarsi, come ulltimo viatico:

          Verremo anche noi!

        E chi verrà ad accompagnare me – chiese Ugo Osojnak – quando me ne andrò io? Beati voi!

–           Che vi hanno detto? Quando potete otetnere tutti i documenti necessari?- chiese wanda.

         Hanno pronmesso presto. Anche loro hanno fretta. Tutti hannop fretta. Sia quando sia, sarà sempre in tempo per cominciare una nuova vita.

          Terminò la frase col tono di un’aria operistica.

          Che ti prende oggi, macaco? Gli chiese Mafalda in tono di rimpovero.

        Sono contento, Mafalda mia. Non abbiamo forse atteso questo momento sin dalla fine della guerra?

               Mafalda non rispose.

          Non appena saremo sistemati- dissse Oreste  al giovane Francovich – ci metteremo in contatto con i tuoi.

     Fatelo, ve ne prego. Ne saranno contenti. Si sentono soli, – disse il giovane Francovich e involontariamente, sottovoce, aggiunse: – sapete voi stessi come si stentono.   Segui una pausa.

–          Quasi mi vergogno . E’ da Natale che non ci siamo fatti vivi – disse Wanda.

–         Non c’è da meravigliarsi- dise Mafalda  – con tutto quiel che c’è stato da fare per il viaggio!

–         E tu, resti? – si rivolse Ugo Osojnak, all’improvviso, al giovane Francovich.

         Resto.

           Scese un grave silenzio.

       Ugo Osojnak capì, in quel silenzio, che era bastato, ecco, solo un attimo di allentamento, solo una domanda avventata perchè accadesse il peggio: l’impatto con la realtà. Perciò si affretto a dondolarsi intorno a Mafalda:

         Sai una cosa, mi ero dimenticato di dirtelo, vi ho riflettuto sopra quache giorno fa: al tempo di Luigi Quattordicesimo era facile. Un francese insiddisfatto uscì sulla strada e si mise a gridare: Abbasso Luigi!«- Ugo Osojnak gridò davvero: »Abbasso Luigi Qattordicesimo che si è autoproclamatio potere assoluto!«. Che cretino. Dio mio! Ma adesso qui, dove il popolo è diventato potere, come farà il popolo insoddisfatto a riversarsi sulla via e gridare Abbassio io«, eh? Sarebbe assurdo. Ed io non vivrò in eterno, ma solo pochi anni ancora, e intendo vivere quanti pochi anni dove meglio mi piace….

   Ed io vivrò per forza nella terra di nessuno!- disse Emilia.

   Mafalda riapparve di lì a poco al finestrino, dal corridoio. Un ignoto compagno di viaggio che stava accanto a lei abbassò gentilmente il vetro. In quel momento nel cielo si slanciarono i gabbiani, gracchiando, sollevandopsi a stormi dal porto vicino.