Nelida Milani è senza dubbio l’autrice di maggioir spicco della comunità italiana “rimasta” e una delle più importanti voci della letteratura istriana contemporanea. Nata nel 1939 a Pola, dove risiede, si è laureata in lettere all’Università di Zagabria. Specializzatasi in sociolinguistica, dal 1979 ha ricoperto la cattedra di linguistica generale e di semantica alla Facoltà di Pedagogia di Pola. Ha operato per lunghi anni come docente di lingua italiana presso il Dipartimento di lingua e letteratura. Fu per anni vicepreside e responsabile della Sezione Italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (ora Dipartimento di studi in lingua italiana della Facoltà di studi interdisciplinari, italiani e di culturali dell’Ateneo polese).  Ha esteso i suoi interessi all’apprendimento della seconda lingua (L2) e allo sviluppo della competenza comunicativa nei bambini. Come linguista ha pubblicato documentate ricerche, tra le quali il volume “La comunità italiana in Istria e a Fiume fra diglossia e bilinguismo”, edito nel 1990 per il Centro di Ricerche Storiche Rovigno, il volume L’italiano fra i giovani dell’istro-quarnerino (Pola-Fiume 2003) e con Roberto Dobran, i due volumi »Le parole rimaste. Storia della letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero nel secondo Novecento ( 2003, Edit, Pietas Julia). Per un decennio (1989-1999) è stata redattore responsabile della rivista trimestrale di cultura «La Battana» (EDIT, Fiume).

La Milani ha vinto numerose volte il “Premio Istria Nobilissima”, con le opere: Insonnia (1987), La partita (1988), Impercettibili passaggi (1989), Una valigia di cartone (1990) Tempo di primavera (1991), La Nave (2009).“Una valigia di cartone” ha dato il titolo a una raccolta edita da Sellerio nel 1991, che si è aggiudicata il Premio Mondello nel 1992. Nel 1996 ha pubblicato in edizione bilingue italiano/croato L’uovo slosso / Trulo jaje.Nel 1998 esce “Bora” (Frassinelli): un romanzo scritto assieme a Anna Maria Mori sulle tormentate vicende della terra istriana viste attraverso gli occhi di una esule – Anna Maria Mori – e di una “rimasta” – Nelida Milani. “Bora. Istria, il vento dell’esilio” diviene un fenomeno editoriale, venendo ripubblicata in più edizioni (Marsilio) ed ottenendo svariati premi. Con Anna Maria Mori pubblica anche “L’anima altrove” (Rizzoli, 2012). Nel 2007 l’EDIT di Fiume pubblica Crinale estremo: un’altra raccolta di racconti che contiene – fra gli altri – nuovamente Una valigia di cartone. (Sellerio, 1991). Tra le sue opere da ricordare anche Racconti di guerra (Il Ramo d’Oro, 2008), La bacchetta del direttore (Oltre Edizioni, Genova, 2013), Lo Spiraglio (Besa, 2017).

 Nel 2019 pubblica con Ronzani editore “Di sole, di vento e di mare” e quindi, nel 2021, la riedizione in tre parti di “Cronaca delle baracche”, comprendente i racconti “L’Osteria della Parenzana”, “Agnus Dei” e “La partita”.

Da ”L’osteria della Parenzana”

(…) Quando la nave partiva la gente delle Baracche si riuniva dentro l’osteria radunando parecchi tavoli a far tavolata. Che fuori soffiasse la bora o piovesse pure quanto voleva, loro bevevano e vociavano, c’è qualcosa che lega e divide la gente, c’è un senso del nostro stare con gli altri, si chiamavano per nome e anche per cognome, passavano ore piacevoli insieme cercando di pacificare l’insoddisfazione, i litigi erano rari, loro non partivano, convinzioni non ne avevano mai avute nè avevano qualcosa di particolare sulla coscienza. Tuttavia al terzo o al quarto ottavo l’aria era greve di confessioni, come se molto dipendesse dal fatto che, dall’intimo delle persone, venisse alla luce la verità. La Gigia Parenzana analfabeta diceva che il mondo si migliora studiando e il vecchio Klobas prendeva su di noi bambibni le sue rivalse: arruolatosi volontario aveva imparato a leggere in due mesi e tutte le nostre elementari lui le aveva fatte in sei mesi e la sua conclusione la sapevamo a memoria: non c’era miglior sistema di scoraggiare il desiderio di conoscere se non la scuola. Ma gli altri clienti dell’osteria recacitravano con tutte le loro forze, gli davano contro e si contraddicevano improvvisandosi maestri: Poldo Ratelli disegnava pupoloti e vasi di fiori e foglie tutte uguali che non si riscontrano in natura con dieci sole righe sulla carta da impacco del tabacco e Gigi Codrich si mise di buona lena ad insegnarmi il tedesco, ma io scappavo quando lo vedevo arrivare tutto azzimato e vestito di bianco, troppo spaventata da una lingua in cui Vater si legge Fater. ( …)

 (…) in osteria capitava di incontrare sempre più spesso i liberatori, gi offiziri che vi salivano da Molocarbon e parlavano una lingua mai sentita. Era un altro evento destinato ad avere conseguenze altrettatnto profonde e durevoli di quelle dell’esodo in questa penisola d’Istria che fino alla mia nascita e un po’ oltre era stata una parte dell’Italia, una parte in cui le tribolazioni non cessavano d’abbattersi sugli uomini, per impedir loro di annoiarsi o, chissà, per tenerli sempre in allenamento. La Parenzana cercava di parlare sempre a tutti nella loro lingua, chiedeva con precauzione ma cossa voi no savé parlar per slavo? … Io mi vergognvo di quegli sproloqui fatti in uno slavo istriano rimasto fermo al ’21, quando lei era venuta nuda e cruda da Villanova, vedova di guerra e con quattro figli a carico, a piuntar baracca alle Baracche e a dirigere, senza mai cedere un’oncia, una famiglia che sarebbe diventata numerosa e ramificata, e vedevo quei discorsi che finivano con dobro dobro non erano capiti dai militari, perché talmente pieni di strafalciobni e di italianismi che persino la maestra Cinesina della prima classe gleli avrebbe bocciati ( …)