Nasce l’11 ottobre del 1905 a Fiume nel rione popolare di Cittavecchia da Adolfo Ramous e Maria Giacich, ultimo di sei figli. A due anni rimane orfano di padre. Dal 1924 al 1925 frequenta l’Istituto tecnico Leonardo da Vinci, e più tardi si iscrive all’Istituto magistrale “Egisto Rossi”. I suoi esordi letterari risalgono all’edizione della rivista letteraria fiumana Delta,diretta da Antonio Widmar, che uscì dal 1923 al 1925. La prima opera che Ramous diede alle stampe, per i tipi della rivista  letteraria fiumana Termini  (1936-1943) diretta da Giuseppe Gerini (che successe a Delta, a cui collaborarono alcuni dei più noti letterati fiumani come Enrico Morovich, Franco Vegliani, Garibaldo Marussi, Giovanni Fletzer), è “Nel canneto”; che uscì nel 1938 ed ebbe un notevole successo negli ambienti intellettuali italiani.

Nel 1929 apre la collaborazione con il quotidiano “La Vedetta d’Italia” in veste di critico teatrale e musicale. Un anno dopo viene assunto come redattore e vi rimane fino al 1942, quando viene licenziato. Nel settembre del 1936 sposa la dalmata Matilde Meštrović nipote del famoso scultore jugoslavo (croato, naturalizzato statunitense) Ivan Meštrović.

Nel 1944 accetta la direzione de “La Vedetta d’Italia”. Parallelamente Ramous mantiene contatti con i dirigenti partigiani ed antifascisti. Nel 1944 la Gestapo lo sottopone a stringenti interrogatrori e la sua casa viene perquisita.

Dopo la guerra assume la direzione del Dramma Italiano di Fiume, dopo la parentesi iniziale, nel 1946, di Piero Rismondo. Nei 15 anni della sua direzione gli vengono affidarte 46 regie. Nel 1954 si reca a Milano e con Paolo Grassi, direttore del “Piccolo Teatro” e più tardi sovraintendente Alla Scala, concorda una tournèe in Jugoslavia del “Piccolo Teatro” che a Fiume ottiene strepitosi successi. Nel 1956 riesce a sventare il pericolo della chiusura del Dramma Italiano, voluta dalle autorità locali. Recandosi a Belgrado e contattando  vari esponenti politici riesce a salvare la compagnia di prosa della minoranza italiana. Nel 1959 curò l’edizione dell’antologia Poesia jugoslava contemporanea (Rebellato), prima del genere apparsa in Italia. Nel 1964 organizzò il primo incontro fra scrittori italiani e jugoslavi a Cittadella. 

Ha scritto per numerosi giornali italiani, jugoslavi, francesi, americani e di altri paesi, producendo più di 400 saggi ed articoli vari. Le sue opere sono state tradotte in nove lingue.

La prima raccolta di versi di Ramous fu »Nel canneto« (Rivista Termini, 1938), della quale si occupò la reale Accademia d’Italia.  

Nel 1953 – per i tipi dell’EDIT – Ramous pubblicò la sua seconda silloge dal titolo Vento nello stagno. In successione sono poi apparse Pianto vegetale (1960), Il vino nella notte (1964), Risveglio di Medea (1967), Realtà dell’assurdo (1973), Pietà delle cose (1977) e, postuma, Viaggio quotidiano (1982).

Ramous si è cimentato anche nella narrativa, pubblicando numerose novelle e due romanzi: I gabbiani sul tetto (1964, tradotto in portoghese col titolo Gaivotas no telhado) e Serenata alla morte (1965, tradotta in portoghese col titolo Serenada ao passado). Solo nel 2007 venne pubblicato (postumo) Il cavallo di cartapesta, un romanzo autobiografico composto nel 1967 ma modificato più e più volte fino agli ultimi giorni di vita.

Fra le opere teatrali e i radiodrammi vanno ricordati: »Un duello” (1935),“Edizione straordinaria,” (1951), “Lotta con l’ombra”, (1959), “La mia ocarina”, (1961), “Il farmaco portentoso” (1963), “Con un piede nell’acqua” (1969), “Un cuore quasi umano” ( 1970), “Guido, i’ vorrei che tu, Lapo ed io…”, (1972); “Un attimo solo” ( 1974), “Le pecore e il mostro,” (1976),”Viaggio senza meta”( 1976), “Sull’onda degli echi “ (1977).

Collabora per lunghi anni (con saggi, poesie, radiodrammi ecc.) con note riviste e quotidiani, quali “La revue Theatrale” (Parigi), “Musical America” (New York), “Europa letteraria” ( Roma), 2La Fiera letteraria” (Roma), “ “L’osservatore politico-letterario” (Milano) ecc. La morte lo coglie il 2 marzo 1981 mentre sta RIvedendo “Il cavallo di cartapesta”.

Da “Pietà delle cose “ (1977)

 

Nessuno ascolterà

 

Nessuno ascolterà più la dolente

preghiera, e ai sospiri degli afflitti

risponderà soltanto il verso

pettegolo e insolente della risacca.

Non vi è più tormentosa solitudine

di quella assediata dagli echi.

 

 

Alghe e licheni

(…)

Ed io tenevo accanto a me il bagaglio

pronto per il viaggio,

ma la partenza fu sempre differita.

E finì che ai bordi dei moli,

fugando l’alghe, attecchirono i licheni,

sugli scheletri delle gru

s’abbarbicarono erbe selvagge,

sulle bitte di ferro arrugginite

si fermarono ad assorbir l’estate

le lucertole, e i nidi

abbandonati dalle procellarie

accolsero i neonati delle cornacchie.

 

 

 Da “Pianto vegetale” ( 1960)

 

Il suolo ch’io calco

(…)

Odore d’esilio di una terra

Che m’ha cresciuto e sempre m’abbandona,

con le sue foglie chine

alla pioggia fatale (…)

 

 

Da “ Nel canneto” (1938)

 

 Nido

Ricopre d’ombra il mio sonno. Nido

Tiepida pace delle stanche veglie.

Intorno: astri, silenzio,

 esangue vita di morti, oceani notturni.

Poi, solo nido il sepolcro.

L’anima nuda al vento.