Sisinio Zuech ĆØ nato a Lussinpiccolo il 2 aprile 1898, trascorse l’infanzia nell’isola di Cherso. Dopo aver studiato a Trieste, si laureò in medicina nell’UniversitĆ  di Padova; e si specializzò a Vienna in ginecologia e ostetricia. Esercitò per molti anni la professione a Trieste. Qui ha fondato e presieduto nel dopoguerra il ā€œCentro Culturale ā€˜Francesco Patriziā€™ā€. Ha collaborato a numerosi giornali e periodici, tra cui ā€œIl Popolo di Trieste, ā€œLa Porta Orientaleā€, ā€œL’Arena di Polaā€, ā€œDifesa Adriaticaā€, ā€œPagine Istrianeā€. La sua attivitĆ  letteraria si ĆØ manifestata nella poesia, nel teatro e, soprattutto, in alcune opere narrative a sfondo variamente autobiografico. Ha pubblicato: Dopo la tormenta (poesie, 1955); Poema cosmico, (1957); Frane dell’innocenza (poesie, 1958); L’arco della notte (poesie, Cittadella, Rebellato, 1960), Suva, un’isola, un mondo (romanzo, Roma, Editrice Italiana, 1966); La leggenda di Absirto. Vicenda tragica in tre atti e cinque quadri, (Padova, Erredici), 1972; Tamburi di guerra a Trieste (romanzo, Rebellato, 1981); Violini, gonnelle e bisturi (romanzo, 1983; Il custode del faro. (romanzo, Trieste, ā€œItalo Svevoā€, 1985).

Da: ā€œL’arco della notteā€ (Cittadella, 1960, Rebellato editore)

La madre

Discosta rovina

d’una chiesola antica

sepolta

entro un mare

di agitati ulivi

sconvolti

da un tormento

senza pace.

Ā 

Assetati tronchi

sorvegliano

il dolore

dei vissuti.

Ā 

Coll’anima

grave di rimpianti

ombre atterrite

indugiano

tra gli archi

dei portici divelti.

Ā 

E un brivido

di gelo

scende giù dalle impietrite

gole

sulle mensole dirute

e solleva turbini

di pietose polveri

e salmodie di canti.

Ā 

Tra gli intonachi

ch’hanno i graffi

dei geli

e delle piove

origliano pigiati

arcangeli

e profeti.

Ā 

Da dismarriti affreschi,

soli e assorti,

gli occhi della Madre

cercano inquieti

il Figlio

in mezzo all’orda

dei Cristi fuggitivi.

 

Da ā€œFrane dell’innocenzaā€ (Trieste, Leghissa, 1958)

Freudiana

Ā 

Dissolute norme

ed afferrati istinti

urgono

da cuori oppressi,

presi

nella ferrea morsa

d’un destino

annientatore.

Ā 

Povere tempie

Ā pulsano

nell’incudine rovente

dei sensi

martellate

da mai sopite

ribellioni dell’istinto.

Ā 

Voci supreme

urgono

dalla chiusa cerchia

dell’inconscio

per dilatarsi

e rompere nel mondo.

Ā 

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Ā