Alfredo Polonio Balbi: “Noi eravamo del gruppo autonomista”
Le persecuzioni
Intervista rilasciata a Giovanni Stelli il 21 e il 22 novembre 2003 a Roma
nella sede dell’AMF; il testo, rivisto dall’autore il 5 marzo dello stesso anno, è
stato pubblicato su Fiume. Rivista di studi adriatici, n. 9, gennaio-giugno
- La registrazione su audiocassetta e il testo sono conservati presso
l’AMF, fondo Fonti orali.
Alfredo (detto Fedi) Polonio-Balbi, nato a Fiume il 5 novembre 1925,
venne processato e condannato il 21 gennaio 1946 a quattro anni di lavori
forzati per aver fatto parte dei “giovani autonomisti”, un gruppo di opposizio-
ne al regime comunista jugoslavo che si richiamava alle idee del Partito Auto-
nomo di Zanella. Esule a Venezia nel 1949 si trasferì poi a Roma, dove è
morto il 20 aprile 2007. Il nonno di Fedi, Michelangelo (nato a Besca nell’iso-
la di Veglia nel 1849 e morto a Fiume nel 1932) aveva fondato in città una
famosa libreria, che occupava tre piani di un edificio in piazza delle Erbe, ed
aveva promosso la pubblicazione di una fortunata serie di guide di Fiume di
cui si contano ben 14 edizioni dal 1888 al 1901.
(Omissis..)
Ora vorrei sapere qualcosa sulla tua attività a Fiume fino al giorno
del tuo arresto da parte dell’OZNA. Entrasti a far parte di un gruppo
clandestino “autonomista”…
Sì, noi eravamo il gruppo autonomista che cercava di riportare
Fiume alla condizione di Stato Libero. Distribuivamo in giro manife-
stini che parlavano di Fiume autonoma, di Fiume che doveva tornare
libera.
Chi faceva parte di questo gruppo?
Innanzi tutto Carlo Visinko, che era un “vecchio” autonomista,
aveva allora forse trent’anni – io ne avevo venti –, era impiegato alla
ROMSA, dove ho saputo poi che c’era un altro autonomista, un diri-
gente di nome Samsa. Successivamente ho saputo anche che già da
tempo era sotto controllo per la sua attività politica. Visinko è stato in
carcere con me a Maribor; nella fotografia dello scambio dei prigio-
nieri a Gorizia lo si vede chiaramente. Era esule a Trieste ed è morto
qualche mese fa.
Come hai preso contatto con Visinko?
- Onestamente non mi ricordo. Nella mia famiglia non c’era
una tradizione autonomista. Sono diventato autonomista quando
sono tornato a Fiume. A un certo momento con Marino Callochira e
con Carlo Visinko è cominciata questa storia dei manifestini. Cerca-
vamo di fare adepti, di contattare studenti, di fare propaganda per
Fiume libera. Per quanto mi riguarda, avevo un piccolo gruppo di
circa 5-6-studenti coi quali mi riunivo. Quando fui arrestato non
feci i loro nomi e l’OZNA credette che, oltre a me e agli altri arresta-
ti, non ci fosse nessuno. Questi giovani mi furono riconoscenti per
il fatto che non avessi parlato e lo dissero esplicitamente alla mia
fidanzata.
Ti risulta che Visinko avesse avuto contatti con i vecchi autonomisti?
Probabilmente. Dopo l’annessione all’Italia gli autonomisti a
Fiume erano fuori legge, ma tutti i vecchi autonomisti segretamen-
te continuarono a vivificare questo movimento. Forse un contatto
con i vecchi lo manteneva Visinko. Io so solo una cosa: ero entrato
nell’ordine di idee che era giusto lottare per restituire Fiume allo
Stato Libero e cercavo di diffondere questa idea tra i miei amici, tra
gli studenti.
A parte Visinko, eravate tutti molto giovani …
Callochira era di due o tre anni più giovane di me, è morto recen-
temente esule a Roma. In realtà io ero in contatto con Visinko, Callo-
chira e naturalmente con gli studenti del mio gruppo. In carcere ho
poi appreso che del “gruppo autonomista” facevano parte anche gli
altri che erano stati arrestati insieme a noi.
(..omissis)
Hai mai avuto l’impressione che dietro di voi si muovesse qualcosa
di più importante, di più organizzato?
Questo senz’altro. Immaginavamo – ma non avevamo contatti,
tutto era molto segreto, per paura dell’OZNA – che dietro di noi ci
fosse un’organizzazione per Fiume autonoma. Tanto è vero che,
quando fummo incarcerati, qualcuno – non so chi – dava soldi alla
mia famiglia per farci avere pacchi in carcere. Non ho mai saputo
chi fosse.
Hai mai sentito parlare dell’organizzazione di Luksich-Jamini, del
CLN fiumano? Magari in carcere?
Non ne ho mai sentito parlare. Molti hanno poi detto che Luksich
era stato in carcere con noi, ma non è vero. Io non l’ho mai visto né
conosciuto.
Nel corso della vostra attività clandestina avete avuto notizie di altri
movimenti o d’opposizione al regime?
No; ho saputo del gruppo cattolico di padre Nestore, di cui faceva
parte Dassovich, solo a Maribor, come poi ti dirò.
Il 16 ottobre 1945 a Fiume viene ammainata la bandiera jugoslava
dal pennone di piazza Dante da tre giovani: Giuseppe Librio, Hervatin e
Barbadoro …
So di Hervatin e di Librio, Librio fu preso e fucilato immedia-
tamente …
Fu ritrovato cadavere sul molo Stocco …
Sì, perché fu fucilato subito. Almeno così mi risulta da notizie che
ho letto. Non so che fine abbiano fatto gli altri due.
- L’arresto degli autonomisti e gli interrogatori
Parliamo ora del tuo arresto …
Fui arrestato il 22 novembre, da poco avevo compiuto vent’anni.
Mi arrestò Norino, che era, mi pare, un ex vigile urbano, un fiumano
italiano che faceva parte dell’OZNA3. In carcere ho saputo che erano
stati arrestati Marino Callochira, che abitava vicino a me in via Pome-
rio, Visinko, i Fantini, padre e figlio, ed Erberto Lenski.
Una delle accuse era: “stampa e diffusione di manifestini contro i
poteri popolari”. Ma quanti volantini avevate in effetti diffuso?
Non saprei. Era tutto molto casalingo, poco organizzato, senza
gerarchie, a livello studentesco.
Avevate mai pensato ad azioni armate?
Onestamente no.
A parte Visinko e Callochira, conoscevi gli altri arrestati?
Erberto Lenski lo conoscevo bene, perché era inquilino di mia
nonna e quando eravamo piccoli giocavamo insieme, ma non avevo
mai parlato con lui della nostra attività. Mi ricordo che è venuto con
3 Si tratta di Norino Nolato, successivamente anch’egli esule in Italia, a Torino, dove
la sua presenza risulta alla fine degli anni Ottanta.
Uno dei volantini diffusi dai giovani autonomisti a Fiume nel 1945.
noi a Maribor; comunque fu scarcerato prima. Credo sia andato esule
a Massa Carrara e oggi scrive su La Tore e su La Voce di Fiume col
nome di Berti. I Fantini li conoscevo di nome: Ferruccio Fantini era
parecchio più grande di me, doveva essere del 1917 o del 1918; arresta-
rono anche il padre Emiro, per portargli via i beni, avevano due nego-
zi di fotografo e un albergo in Abbazia.
(..omissis)
In carcere a Maribor incontrai poi Ettore Rippa, che aveva un
negozio di ottico a Fiume sul Corso, di fronte alla Filarmonica. Di
Giorgio Fabris so soltanto che era insieme a Dassovich nel gruppo di
padre Nestore, che poi ho conosciuto nella prigione di Maribor. A
Maribor ho incontrato anche Mario Rivosecchi e Maltauro.
- Il processo del 21 gennaio 1946 e le condanne
Il 21 gennaio inizia il vostro processo; quanto dura?
Un solo giorno! Il tribunale era il tribunale militare dell’Armata
Jugoslava; tutti i membri della corte erano in divisa. Nessuno delle
nostre famiglie fu avvisato e al processo assistevano solo “i loro”, tutti
croati: mi pareva uno di quei processi della rivoluzione francese nei
quali la folla gridava “a morte gli aristocratici!”, e infatti tutti grida-
vano in continuazione “Smrt! Smrt! (morte)”. Il pubblico accusatore
era un capitano gobbo, che si chiamava Trepić4. Io lo sfottevo e a un
certo punto lui, con le vene del collo tutte rosse, si è alzato e ha detto:
“chiedo per l’imputato Polonio Balbi il massimo della pena per irri-
verenza alla corte”.
(omissis)
Parliamo del vostro arrivo a Maribor e delle condizioni di deten-
zione …
Arrivammo a Maribor il 9 o forse il 10 febbraio. Eravamo in un
penitenziario della vecchia Austria, che era stato bombardato ed era
per metà inagibile. Appena arrivati, ci tolsero i nostri vestiti e ci det-
tero le divise carcerarie, che erano quelle della vecchia Austria, tut-
te rappezzate, non si capiva nemmeno quale fosse stata la stoffa
originaria. Dopo aver indossato queste divise, ci siamo guardati e ci
siamo un po’ avviliti. Subito ci hanno mandato in una cella che
doveva essere per una persona, ma ci hanno messo dentro tutti, mi
pare che eravamo in otto. Coricati per terra dovevamo tenere le
gambe rannicchiate, perché non c’era lo spazio per tenerle distese.
Dormivamo così e dovevamo girarci tutti insieme, perché non si
poteva fare diversamente. E uno di noi a turno doveva stare con la
faccia vicino alla “kibla”, ossia al bugliolo. Al mattino presto abbia-
mo sentito gridare “nadelo, nadelo”. Ci siamo girati dall’altra parte,
perché non sapevamo che voleva dire “al lavoro”. Ci hanno portato
in un cortile, ricoperto di neve, dove c’era un mucchio di ferraglia,
dovevamo raccogliere i ferri e portarli da un angolo all’altro. Dopo
mezz’ora camminavamo avanti e indietro in una molle fanghiglia.
Questo fu il lavoro del primo giorno.
- Altri detenuti italiani a Maribor
Nel novembre 1946 arrivano a Maribor i condannati del gruppo di
padre Nestore, don Cesare, Dassovich, Purkinje e Fabris …
Sì. Li ho incontrati. Mi ricordo solo di Dassovich, Fabris e Purkinje
e di un giovane che in Istria faceva il fornaio.
Poi, nel febbraio 1947, arrivano anche quelli del gruppo Maltauro …
Sì, anche se la data non me la ricordo. Stavamo tra di noi italiani,
facevamo fronte comune contro il soverchiante numero degli sloveni,
eravamo abbastanza uniti. Fondamentale era sempre la sopravviven-
za, ma un certo aiuto tra di noi c’era. Quelli del gruppo Maltauro era-
no operai, mi pare veneti, allegri. Poi è arrivato anche un gruppo di tre
persone da Fiume: Alceo Lini, Bartolomei e Gavazzi; si diceva che
avessero gettato manifestini nella Sala Bianca. Attualmente Lini è in
Canadà a Montreal.
Assieme a Maltauro fu processato Luksich Jamini; hai avuto modo
di parlare di Luksich con Maltauro?
No. Con noi c’erano anche molti istriani, tra cui un farmacista di
cui non ricordo il nome, un proprietario di mulini in Istria, e Bertuzzi
di Pola, pescivendolo ex fascista. Del gruppo Maltauro mi ricordo di
Rainò e di Rivosecchi. Mi ricordo anche di Basile di Pola e di Mafalda
Codan. La Codan aveva fatto il viaggio con noi da Fiume a Maribor e
perciò l’abbiamo conosciuta; noi siamo i suoi “fratellini”, come ha
scritto nel suo libro, Sopravvissuti alle deportazioni in Jugoslavia, e
abbiamo fatto per lei un disegno con i nostri nomi. La Codan stava
naturalmente nel reparto femminile, ma ci si vedeva a distanza e ci si
salutava. Anche lei fu rilasciata con noi alla “Casa rossa” a Gorizia.
Sono poi andato a trovarla a Bibbione dove aveva costruito due case
per affittarle.
- Lo scambio di prigionieri e la liberazione
Parliamo ora della fase finale della tua vicenda: nel 1948 c’è un
accordo tra Roma e Belgrado per lo scambio dei prigionieri …
Lo scambio fallì due volte. La prima volta l’11 agosto 1948. La
seconda volta, l’11 gennaio 1949, gli italiani si presentarono con quat-
tro prigionieri soltanto. Leggo dal mio diario: “uno viene da noi e ci
spiega che non hanno potuto accordarsi, avendo l’Italia portato dall’al-
tra parte soltanto quattro persone. Una mazzata tremenda per tutti
noi. Si presentarono con quattro prigionieri e noi eravamo
cinquanta!
La terza volta, l’11 giugno 1949, lo scambio finalmente avvenne …
Fu una cosa indescrivibile. Avevamo tutti le lacrime agli occhi, ci
sembrava incredibile, ci guardavamo in giro e ci pareva impossibile
che non ci fosse una guardia a sorvegliarci, che fossimo liberi.