Anita Forlani: Chi aveva il diploma magistrale e non lavorava già, indifferentemente se italiani o croati, doveva andare in Istria. Perché tutte le scuole si erano svuotate degli insegnanti italiani, e si stavano aprendo a tutta forza le scuole croate, quindi occorreva. Allora a Fiume hanno aperto i corsi di abilitazione per insegnanti croati. Mi ricordo che noi vedevamo passare tutti questi che a noi facevano un’allergia forte… perché vedevi che loro non sapevano niente, noi invece avevamo fatto una scuola con tutti i crismi. Allora questi sono andati tutti in Istria. Uno di questi è capitato proprio a Dignano e ha fatto il desìo proprio… ha cercato in tutti i modi di chiudere le classi italiane. […] A Dignano io non conoscevo nessuno! Per me era una cosa terribile! Pensi che quella volta, per andare da Dignano a Fiume, c’era la corriera postale, che faceva tutto il giro dell’Istria, era una di quelle corriere che si mettevano i pacchi sopra, se pioveva si disfava tutto, una volta mi si era disfatta la valigia. Oppure con il treno: andavamo fino a Divača, da là fino a Villa del Nevoso… era tutto il giorno praticamente e io non lo facevo ogni settimana. Quelle che erano di Pola andavano a casa il fine settimana, io non arrivavo… se no anziché dare un aiuto alla famiglia finiva che loro lo davano a me. E questo è durato un paio d’anni… dal ’49, da febbraio fino a giugno, avevo una stanza da sola. Dopo sono venute le altre che intanto avevano finito le magistrali, e ci hanno dato questo appartamento che era andato via il direttore, eravamo due per stanza, dietro c’era la direttrice…  noi eravamo due o tre della sezione italiana, avevamo i letti e basta, giusto per dormire, tanto non avevamo altro da fare, non eravamo mai a casa. Per cucinare avevamo solo un piccolo fornelletto di quelli elettrici per scaldarsi un po’ di tè o caffè, per il resto, per mangiare andavo in mensa, c’erano le tessere. Ma magari dicevano: ‘Oggi non c’è niente!’ Allora facevamo un brodino o si prendeva qualche roba al bar del popolo. Ho conosciuto dei genitori, delle colleghe, che poi sono andati anche loro via, che più di una volta ci hanno dato da mangiare quando non c’era cosa mangiare. Mi ricordo di un mio ex alunno che poi è venuto a trovarmi, che poi ha finito a Rovigno, che suo papà era macellaio… mi davano loro da mangiare qualcosa… anche altri mi hanno offerto il pranzo e la cena, i genitori degli alunni mi volevano assai bene. Per chi aveva la casa vicina era più facile […] Succedeva che lei oggi aveva 30 alunni in classe, domani ne aveva 20, dopodomani 15… la gente andava via continuamente e quelli che rimanevano, anche i genitori, erano molto afflitti. Può capire! Andavano via i parenti, i cugini, i figli, gli amici. Allora io cercavo in tutti i modi di raccogliere questa gente, con i ragazzi della scuola facevamo tante attività, coinvolgendo anche i genitori che erano rimasti. […] Poi ho trovato mio marito, che era cittadino italiano, lui aveva il passaporto e tutto… Lui poi per potersi sposare ha dovuto restituire la cittadinanza italiana, ha dovuto firmare che restava qua con la cittadinanza jugoslava… ma lui sempre ha mantenuto il passaporto, tanto che quando è arrivata la prima ondata di recupero della cittadinanza italiana, lui l’ha presa subito. Era il periodo della questione di Trieste, era molto brutto… mi ricordo come adesso che ci chiamavano nella sede del Fronte popolare di liberazione, a far manifestini da portare nei comizi. Facevamo anche di notte, era scritto in serbo-croato e noi facevamo la traduzione in italiano, che per noi era anche offensivo, perché c’era scritto: ‘Abbasso l’Italia, abbasso gli italiani!’ Tutta la notte scrivevamo ‘ste robe… era terribile e io mi sono trovata in situazioni gravissime… Ero stata seguita, ero stata chiamata a Pola, all’associazione di cultura, mi hanno detto che loro mi avrebbero trovato un altro giovane. Mi dicevano: ‘Ma cosa vai tu a fare con un contadino!’ Noi insegnanti eravamo proprio sotto tiro, sempre osservate. Io sono di una famiglia operaia, non mi vergogno assolutamente, ognuno ha il suo lavoro, basta che la persona sia onesta. Così mi sono messa con uno che era italiano, un contadino.

Gloria Nemec: Le facevano problemi se stava con un contadino in una società socialista?

Appunto, me lo domandavo anch’io. È che lui aveva la cittadinanza italiana, in quegli anni erano situazioni molto difficili… chiamavano anche gli Affari interni. Eravamo stati richiamati tutti a non andare in chiesa. Una volta non era facile andare a mezzanotte, per Natale, come oggi. Nel ’50 avevamo sentito che in chiesa facevano una funzione per Natale, con i bambini vestiti da angeli: noi eravamo indecise se andare, alla fine in quattro o cinque insegnanti siamo andate. Quando siamo arrivati alla porta della chiesa, forse i chierici avranno avvisato il parroco, quando siamo entrate, tutti si sono rivolti verso di noi! Allora dopo, per boni due anni siamo state continuamente richiamate a Pola, perché eravamo le maestre che andavano in chiesa. Non potevamo perché eravamo educatrici e dovevamo dare il buon esempio ai fioi. Per questo ci facevano fare sempre qualcosa anche la domenica di Pasqua, qualche passeggiata o qualcosa per ciò che non andassero in chiesa. […] Io ero tutto il giorno a scuola… Mi caricavano ma facevo volentieri, mi rendo conto, che se qualcuno avesse voluto proprio cavillare non era granché, ma non era tanto sviluppata la scienza pedagogica come è oggi. Avrebbe potuto trovare molto da dire sull’insegnamento della storia che facevamo in quel periodo… io solo dopo ho studiato storia. L’Unione ha organizzato un corso di studio di tre anni, di italiano e storia, e io per la prima volta, ho studiato la storia croata, bosniaca, serba… .mamma mia! Con grande sforzo! Dico la verità, perché non era semplice: era tutto un miscuglio tra quello che veniva, quello che andava, quell’altro che ammazzava… 

[Da G. Nemec, Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Unione Italiana Fiume – Università Popolare Trieste – Università degli studi  Trieste, Centro di ricerche storiche Rovigno, ETNIA vol. XIV, 2012]