01/08/2005 – San Giacomo a Berda tra canti, balli e speranze

(Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin)

 La chiesa è silenziosa, illuminata da una luce agostana che mette in evidenza ogni particolare delle pitture che la percorrono. E’ dedicata ai SS. Filippo e Giacomo ed è il centro in cui convergono alcune volte l’anno le vicende che animano la comunità di Berda o Collalto, dovunque essa sia, in loco o sparsa nel mondo. Una località con due nomi, uno antico, l’altro imposto dalla storia del secolo scorso, con poche costruzioni in arenaria disseminate su un territorio in collina dal quale il panorama spazia da Trieste alle saline di Sicciole, verde, tormentato, splendido. Il vento qui è di casa, porta il profumo del mare fino ai quattrocento metri d’altitudine dove si produce il vino buono e la farina bianca, oltre a mele, pere e castagne. O forse si dovrebbe dire che si producevano quando il territorio della parrocchia era ancora abitato dalle famiglie Vigini, Ermanis, Malattia, Radoicovich, Svettini, Gladich, Ledovich, Smilovich, Valenta, Stanovich e Peresson. Una comunità di cinquecento anime tra Berda, Briz e Vergnacco che l’esodo ha disperso: nelle case hanno messo radici rovi e piante di fico, i tetti implosi hanno lasciato entrare l’acqua che s’è portata via tutto ciò che prima era vita, quotidianità. Sorte analoga l’hanno subita la maggior parte delle località dell’Alto Buiese, ma qualcosa continua ad agitarsi tra quelle mura, un misto tra ricordo e voglia di futuro, tra nostalgia e riscatto. Come domenica scorsa, quando cento e trenta triestini si sono dati convegno nella chiesa sul sommo del colle per festeggiare il santo patrono, S. Giacomo, per stare insieme in allegria, tra canti, brindisi e “buzzolai”, il dolce tipico della festa paesana.
A guidare il gruppo il presidente Arturo Vigini con il segretario Emanuele Braico e un attivo gruppo di sostegno. Tutti cento e trenta discendenti dalle famiglie del posto? Non tutti, molti sono originari dei villaggi vicini ma partecipano all’evento perchè è diventato qualcosa di catalizzante, un appuntamento da non perdere, per ricordare, per incontrare la gente del posto ” spesso parenti stretti ” per ribadire un legame che neanche il tempo e le mutate condizioni di vita, riescono ad allentare.
Seguiamo Arturo Vigini all’interno della chiesa restaurata l’ultima volta nel 1933 grazie all’impegno di suo padre Luigi. Il pittore l’ha lasciato scritto, quando ha scelto come modelli per le varie raffigurazioni i coniugi Vigini e i due figli maschi.
“Mio padre ” racconta con orgoglio l’uomo di cultura che è stato tra l’altro fondatore a Trieste dell’IRCI, l’Istituto Regionale per la Cultura Istriana “aveva seguito personalmente i lavori e ne era fiero. L’acquasantiera, in un’iscrizione rivela il legame della chiesa con i conti Rota di Momiano ma testimonia anche che, la stessa, volle affrancarsi dal loro potere e diventare cappellania autonoma già nel 1576. Per farlo, la popolazione dovette affermare la propria decisione a mantenere la chiesa con decoro devolvendo a suo favore delle proprietà terriere”.
Sono solo piccoli episodi di una storia gustosa, ricca di avvenimenti ora formativi, ora curiosi che scandivano “un’altra vita”.
“Le donne ” racconta ancora Vigini “si recavano a messa al mattino. Una cosa semplice, un momento di autentico raccoglimento prima di mettere su il brodo per il pranzo. La messa cantata, per gli uomini era alle 11.30, e durava un’ora. Alle 12.30 si riunivano nella piazza per raccogliere le notizie del giorno, trattare gli affari o decidere della vita comunitaria. Poi si andava a casa”.
Quando la chiesa si è riempita di parrocchiani, i canti si sono levati alti.
“Dobbiamo anche al parroco Don Antonio Prodan ” afferma Vigini ” la nostra presenza numerosa in chiesa. Abbiamo iniziato ad organizzare dei viaggi a Berda una quindicina d’anni fa in occasione della ricorrenza dei defunti. Il 2 novembre si veniva a pregare sulle tombe dei nostri morti nel piccolo cimitero sul crinale. L’entrata è sovrastata da un enorme rovere, una quercia secolare, un emblema per la comunità. La disponibilità di Don Antonio ha fatto sì che i berdolini decidessero di festeggiare nella chiesa d’appartenenza anche la festa di San Giacomo, il nostro patrono”.
Negli occhi del parroco una condivisa felicità. Il ritorno dei parrocchiani segna anche per il sacerdote un momento di soddisfazione. Ricorda con loro quand’era ragazzino a Caldier, un paesino sotto Montona, o quando seminarista, si lasciava spaventare, ma non scoraggiare, dai moniti dei professori che minacciavano gli studenti di rimandarli a casa con la raccomandazione di comprarsi un gregge di pecore. Ricordi, ancora ricordi anche al momento della distribuzione dei dolci.
“I buzzolai venivano venduti durante la festa di San Giacomo dalle Savrine (le donne dei villaggi sloveni della vicina Savrinìa) che arrivavano con i loro cesti pieni di dolci, caramelle e carrube ” racconta Piero Stagno “erano la gioia dei bambini che neanche i grandi disdegnano in questa festa sul sagrato della chiesa”. Dopo la messa e l’assaggio del dolce, si dà spazio ai canti, ai balli nonostante gli anta contati più volte, con un rammarico di fondo che non traspare ma c’è, e riguarda il dopo. A chi consegnare il testimone, figli e nipoti non partecipano in massa. Il dilemma è destinato a rimanere, per ora, insoluto. Ma c’è la preoccupazione che scava, tormenta, cambiando spesso polo come la corrente alternata, ora positiva ora negativa. Alla rassegnazione di chi ha costruito altrove la propria esistenza, risponde Berda (e l’Istria) con l’irresistibile richiamo della sua bellezza resa ancora più preziosa con il superamento dei confini. In un altro spazio e in un altro tempo si annida la speranza di ridare nuovi contenuti a questa terra che non smette mai di stupire.