Furio Percovich
Conoscerci meglio attraverso Internet. In Uruguay dagli anni Cinquanta con la voglia di ritornare
(Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin)
Il suo nome appare, con incredibile regolarità, sulla lista delle e-mail in arrivo sul sito www.arcipelagoadriatico.it. E’ così che abbiamo iniziato a conoscere e seguire Furio Percovich che, con puntualità, funge da cassa di risonanza alle numerose iniziative della mailing list Histria, di cui fa parte. Ad un certo punto era doveroso, visti i contatti, saperne di più di questo personaggio, fiumano, esule, che mantiene il suo contatto col mondo da un Paese lontano come l’Uruguay usando uno strumento multimediale. E allora, abbiamo pensato ad un’intervista, rigorosamente via Internet. Il suo primo impulso è stato quello di parlarci dell’indirizzo programmatico della MLH, per una specie di pudore che non gli permetteva di parlare di sé…poi. Questo, in breve, il suo racconto.
“Mi chiamo Furio Percovich, sono nato nel 1933 a Fiume. Abitavo al numero 6 di Via Valscurigne. La mia scuola era in Piazza Cambieri. Nel febbraio 1947 mio padre, – che aveva lavorato nello Stabilimento Tecnico “Ing. Tassilo Ossoinack” in Punto Franco, poi “nazionalizzato” -, venne assunto all’Elektro Primorje come incaricato della distribuzione dell’energia elettrica lungo la Riviera, e tutta la famiglia si trasferì ad Abbazia, alla Centrale Elettrica di Punta Colova dove io trascorrevo le mie vacanze. Allora, infatti, ospite di un parente, frequentavo la scuola a Trieste (T.L.T.).
“Il 4 marzo 1949 però dovemmo far fagotto, salire su un treno alla stazione di Fiume e iniziare il pellegrinaggio come tanti esuli: da Trieste ci trasferirono al Campo Profughi di Udine (di quel posto ricordo solo l’eco della disgrazia della squadra del “Torino” precipitata con l’aereo a Superga il 4 maggio), poi un brevissimo soggiorno al C.P. romano di Cinecittà e subito il trasferimento al C.P. di Latina (ex Littoria). Ricordo la prima calda estate nella pianura pontina e l’incoscienza di noi ragazzi che avevamo come unico pensiero il nostro torneo di calcio. Era un gioco anche vivere nei box con pareti di iuta e uno spazio minimo per le valigie ed i bauli, tutto il resto era occupato dalle cuccette.”I bagni e i lavandini erano comuni, e si mangiava alla mensa, con la gamela come i militari: però il vitto era buono! Mio padre, sempre in cerca di lavoro, trovò un impiego a Gorizia e così, tornammo vicino a casa”.Come mai la scelta, allora, di ripartire per una destinazione tanto lontana, l’Uruguay?
“Fu in quell’epoca, che un industriale, parente dell’Ing.Ossoinack alle cui dipendenze aveva lavorato mio padre a Fiume, decise di trasferire in Uruguay il suo Pastificio fiumano La Marittima, ed invitò mio padre a lavorare per lui. Partirono nell’ottobre del 1949 con altri sei collaboratori (tra dirigenti e tecnici) per fondare a Montevideo il Pastificio ADRIA, che iniziò la produzione, con macchine italiane, nel marzo 1950.
“Noi, mia madre e i miei fratelli, in Italia, nell’attesa di partire, ci trovammo nuovamente in un Campo Profughi, a Fermo (Ascoli Piceno), gestito dall’ I.R.O. (una organizzazione della Nazioni Unite che coordinava l’emigrazioni di migliaia di profughi europei). Finalmente, nel luglio 1950 l’imbarco a Genova sulla m/n “Andrea Gritti” e tre settimane dopo eravamo a Montevideo che ci accolse con il freddo dell’inverno australe”.Lei era uno studente, quali possibilità aveva di inserirsi in quella realtà?
“Tre giorni dopo il mio arrivo, iniziai a lavorare nel Pastificio con mio padre e gli altri amici fiumani e istriani, interrompendo così gli studi: avevo compiuto i miei 17 anni durante il viaggio. Eravamo fermamente convinti che, lavorando sodo, in una decina d’anni saremmo potuti rientrare in Italia. Ed era questo l’unico pensiero che contava anche se l’Uruguay allora era un Paese con un’economia fiorente grazie all’esportazione (durante le guerre mondiali e in Corea) di carne, lana e cuoio dei suoi milioni di pecore e bovini sparsi in 176.000 Kmq di territorio, con solo 3 milioni di abitanti, concentrati nelle poche cittadine e nella Capitale: non a caso era considerato la Svizzera del Sudamerica, 1 Dollaro valeva 1,60 Pesos.
“Ma le nostre previsioni non si sono avverate: ho lavorato per cinque anni nel Pastificio e poi sono stato assunto dalla Filiale locale di una Banca italiana, fino al mio pensionamento, avvenuto nel 1993”.Perché il sogno non si è avverato?
“Nel 1957 mio padre morì. Era ancora giovane, essendo nato a Pola nel 1908. Allora la speranza del ritorno si trasformò nella preoccupazione per la famiglia – ero il maggiore dei fratelli – e, contemporaneamente, assistemmo alla decadenza economica dell’Uruguay. Ho avuto fortuna perché il mio impiego in Banca mi ha permesso di superare, piú o meno bene, le crisi economiche del Paese, ma ora, come pensionato, la situazione è piuttosto difficile”.Che cosa rappresentano per lei i contatti via Internet?
“Come ho scritto tempo fa in una lettera aperta ai miei concittadini, io sono un Fiumano che ha conosciuto, almeno in parte, le loro vicende solo negli ultimi anni, grazie ai contatti via Internet, i rapporti riallacciati dalle organizzazioni degli esuli in Italia e, poi, dalla lettura de La TORE e della Voce del Popolo di questi ultimi mesi. Comprendo che anche loro, Residenti, non hanno avuto vita facile dopo il 1945 e che l’assenza di un normale flusso di notizie – come avviene oggi – è stata una delle cause di certa “ruggine” nelle relazioni tra tutti i Fiumani, ovunque siano stabiliti. Per fortuna, a poco a poco, ci stiamo aggiornando, conoscendo e speriamo che l’avvenire ci veda tutti fraternamente riuniti, almeno spiritualmente”.
Figli e nipoti riescono a capire questa necessità?
“Confesso che la nostalgia per Fiume e l’Istria non l’ho sentita che dopo una decina d’anni dall’esodo, ed ora, anziano, comprendo i nostri giovani che, generalmente, si disinteressano dei ricordi paterni:è logico, umano e naturale che la gioventù abbia interessi, propri dell’età. Poi, maturando e riflettendo, ripensiamo al passato e a quello dei nostri genitori: fu così che il mio primo ritorno a Fiume avvenne nel 1965, accompagnato da cugini rimasti in Italia. Ritornai poi un’altra volta con mia moglie nel 1970 e l’ultima brevissima visita fu nel gennaio 1996. L’incredibile è che incontrai in Uruguay altri Istriani e Fiumani, non vincolati al Pastificio, appena nel 1985, in seno alla Famée Furlane che accoglieva Friulani e Giuliani. Non ce ne sono più di 400 in tutto il Paese, compresi i discendenti: un primo nucleo arrivò dopo la Prima Guerra Mondiale, assieme agli emigranti del Friuli in cerca di lavoro. Ci sono una ventina di famiglie, oriunde del Buiese, dedite alla vitivinicoltura”.E così avete deciso di costituire un Circolo?
“E’ stato nel 1994 che abbiamo deciso di renderci indipendenti e costituire il “Circolo Giuliano dell’Uruguay”, associazione che ha lo scopo di mantenere vitali le tradizioni, cultura e abitudini della nostra terra. Nel 1996 è venuto a trovarci lo scrittore Fulvio Tomizza, durante un ciclo di conferenze tenute anche in Argentina e in Brasile. E a questo proposito mi preme far notare che nel suo brevissimo soggiorno in Uruguay, Tomizza ha rinunciato agli impegni protocollari ed alle escursioni turistiche, per incontrare i suoi Compaesani emigrati”.Circolo Giuliano perché i Dalmati non ci sono?
“A dire il vero abbiamo notizia di un Dalmata arrivato a Montevideo nel 1830, certo Filippo LUSSICH di Traú, nostromo di un veliero inglese. Gli piacque talmente Montevideo che decise di stabilirvisi e qui sposò una ligure. Fondò una compagnia di navigazione. Le cronache ricordano che una sua barca fu sequestrata da Garibaldi nel corso della guerra civile del 1843. Suo figlio Antonio, nato nel 1848, ingrandì la flotta, dedicandosi anche ai salvataggi marittimi. Inoltre, con piante e semi importati dai suoi marinai, creò presso Punta del Este un grande parco con piante autoctone ed esotiche, detto “Arboretum Lussich”, attrazione turistica oltre che patrimonio naturalistico. Ci sono molti loro discendenti a Montevideo, ma hanno reciso completamente le proprie radici dalmate”.Come si vive oggi in Uruguay?
“La disoccupazione è altissima, è enorme la quantità di giovani e di professionisti che emigra verso il Nord America e, soprattutto, l’Europa (Italia e Spagna in particolare). Dei nostri Giuliani in Uruguay, quelli che soffrono maggiormente per la crisi economica sono gli agricoltori che sono costretti a vendere i loro prodotti a prezzi minimi, in un mercato limitato”.Un sogno nel cassetto, oggi?
“Vorrei assistere ad un Raduno di esuli e rimasti, spontaneo, al di fuori dei vincoli della politica, un incontro di gente, per una ricomposizione sulla base di progetti dei singoli, della voglia di sentirsi parte di quelle terre. La gente della mia città la inciterei a partecipare con un semplice, profondo e forte Forza Fiume”.