Giuseppe Sincich jnr Lāassassinio di Giuseppe Sincich
Giuseppe Sincich, autonomista e antifascista, assassinato il 3 maggio 1945 nei ricordi del figlio
Giuseppe Sincich eĢ nato a PeĢcs (Ungheria) il 10 giugno 1919 da padre fiumano e madre ungherese. Il padre, Giuseppe, fu deputato alla Costituente fiumana per il Partito Autonomo di Zanella e la sua vicenda successiva eĢ ampiamente ricordata nellāintervista che segue. Esule in Italia dal 1946, Giuseppe jr. ha continuato la sua attivitaĢ professionale di medico ed eĢ stato primario allāospedale di La Spezia, cittaĢ dove attualmente risiede, partecipando altresiĢ attivamente allāassociazionismo dellāesodo nel Libero Comune di Fiume in esilio. Il 10 febbraio 2007, in occasione della Giornata del Ricordo, il Presidente della Repubblica gli ha consegnato una medaglia e un diploma in memoria del padre con la seguente motivazione: āantifascista, esponente dellāautonomismo fiumano fu prelevato dalla sua abitazione di Fiume dalla polizia segreta jugoslava (Ozna) il 3 maggio 1945 e passato per le armi, probabilmente il giorno stessoā.
A proposito di tuo padre, bencheĢ autonomista, in un primo momento fu anche lui favorevole allāannessione allāItalia?
Sotto lāUngheria come tanti liceali, anche se aveva frequentato il Ginnasio ungherese, mio padre era filoitaliano, ma cioĢ non gli impediĢ di fare il proprio dovere di cittadino come allievo ufficiale della Honved a PeĢcs, dove conobbe mia madre di nobile famiglia magiara, moglie e madre esemplare che alla mia tarda etaĢ mi manca moltissimo. Anche suo fratello minore, il capitano marittimo Francesco, purtroppo deceduto molto giovane, fece il proprio dovere di cittadino combattendo con la Honved sui fronti della Bucovina e della Galizia, per poi far parte dei Legionari di Ronchi, come risulta dallāelenco ufficiale nel Comune di Ronchi riportato anche nella pubblicazione di Ballarini. Questo dualismo di sentimenti, cioeĢ il senso del dovere e lāamore per unāaltra Patria, ha caratterizzato molti fiumani rendendoliĀ cosiĢ diversi e piuĢ sensibili di altri. Solo una minoranza preferiĢ lāinter- namento, evitando cosiĢ il servizio militare. Penso che tale ādualismoā si possa estendere a gran parte delle popolazioni giuliane: ārigoreā civile ed amor di Patria.
Nel Partito Autonomo di Zanella che funzioni aveva tuo padre?
Non sono in grado di dirlo; comunque anche se giovane, era deputato nella Costituente. Ha sempre mantenuto stretti legami di amicizia e di solidarietaĢ con i colleghi ed i simpatizzanti. Talvolta ho visto a casa nostra gli amici Miro Milossevich, Ignazio Milcenich, la cui figlia Ardea divenne la sua segretaria fino alla fine. Ricordo la cena di saluto offerta agli amici Mensa M. e Giorgio Dobrilla che partivano per il Congo Belga al fine di rappresentare la societaĢ Italo-Africana con sede a Fiume in Piazza Dante, nella cosiddetta Casa Rotonda, dove allora aveva lāufficio anche mio padre.
Tuo padre aveva rapporti col dott. Mario Blasich?
Certo, Blasich era amico di famiglia e nostro medico. Nel periodo in cui era invalido, a causa di una artrite reumatoide e aveva difficoltaĢ ad esercitare la professione, lo aiutoĢ anche finanziariamente.
E con Nevio Skull?
Era amico di tutta la famiglia Skull. Il dott. Skull era medico specialista, ma in seguito dovette lasciare la professione per dirigere lāazienda paterna, e durante lāoccupazione tedesca assunse tanta gente, compresi dei partigiani per proteggerli da eventuali deportazioni. Molti erano autonomisti.
Parliamo dellāesilio di PortoreĢ. Quando la tua famiglia fugge a PortoreĢ? Subito dopo il colpo di Stato del 3 marzo 1922 che segna la fine del governo Zanella?
PapaĢ va per conto suo e poi io, che ero piccolo, e mia mamma prendiamo di notte una barca a motore, che si chiamava āSaskiaā; avevo tre anni, ma ricordo tutto, guardavo la luna, guardavo la scia di notte che faceva la barca per andare a PortoreĢ. Ho ancora lāimpressione, in questo momento, di questa scia che faceva la barca e poi lāincontro di mia madre col papaĢ che non stava bene, aveva mal di gola e lo curava il dottor Dalma, che era anche lui autonomista.
Facciamo un passo indietro. In una tua memoria che hai inviato alla nostra SocietaĢ racconti un episodio avvenuto prima del colpo di Stato del 3 marzo 1922 e scrivi: āPrima dellāesilio una squadraccia fascista si era introdotta nella nostra abitazione di via Angheben mettendola a soqquadro dopo aver puntato una pistola sul sottoscritto di neanche tre anni che riposava in braccio al padre disteso sul divanoā. Puoi fornire altri particolari sullāepisodio?
Avevo meno di tre anni, mia sorella non era ancora nata (nasce il 7 febbraio 1923), ma mi ricordo tutto. EĢ entrata una squadraccia di fascisti, inveendo contro gli zanelliani, contro mio padre, io ero in braccio al papaĢ disteso sul divano ed uno ha puntato la pistola contro di me. Ci hanno letteralmente buttato fuori dallāappartamento, che era situato in via Angheben nella cosiddetta Casa Rossa, che credo fosse di proprietaĢ della Cassa di Risparmio. Anche se ero molto piccolo, mi ricordo come fosse ora. Ci siamo rifugiati in āMonteā, comāera chiamata una zona alta del rione Belvedere, da mia zia Francesca, sorella del papaĢ che era sposata con il rag. Ernesto Cante, vedovo con due figli, Romeo ed Inci, che la matrigna amava come fossero suoi figli ed io li consideravo dei veri cugini. La Inci, maritata Lenaz, veniva spesso a casa nostra in Belvedere con i suoi due bambini e mia mamma era molto contenta, percheĢ poteva parlare in ungherese che la Inci conosceva perfettamente.
Un documento scritto di pugno da tuo padre, documento che mi hai fornito per lāArchivio Museo storico di Fiume a Roma e che reca la data generica del 1922-1923, riporta le firme di alcuni autonomisti dissidenti, che si erano messi contro Zanella: āPeteani Leone, Sincich Giuseppe, Milcenich Ignazio, dott. Dalma Giovanni, prof. Sablich Geza e altriā […]. Come hanno poi agito questi dissidenti?
Sono tornati a Fiume, ma non si sono mai piegati al fascismo.
(omissis..)
Tuo padre fu ripetutamente incarcerato …
Incarcerato dai fascisti come sovversivo: in occasione di manifestazioni, lo incarceravano preventivamente. Il funzionario che dirigeva lāOvra, il commissario De Michele, per conoscere lāattivitaĢ di mio padre aveva cercato di mettersi in affari con lui e visto che non vi era niente di illegittimo, non ebbe il coraggio di riferire cioĢ a Roma, facendo cosiĢ mantenere le persecuzioni a mio padre, basate su una denuncia anonima, che lo accusava di fare la spia in favore della Jugoslavia. Tutto questo eĢ contenuto nel fascicolo della questura che recuperammo dopo lā8 settembre 1943. Il fascicolo lāabbiamo salvato nascondendolo nella intercapedine tra il rivestimento in legno che circondava tutta la sala da pranzo della nostra villa e dovrebbe essere ancora laĢ. Se vado a Fiume tenteroĢ di recuperarlo. Leggendo il contenuto del fascicolo, mio padre, carattere leale e sincero, rimase particolarmente dispiaciuto dellāaccusa anonima; vi era anche scritto in un altro foglio āfamigerato Sincich visto a Belgradoā, cittaĢ nella quale non era mai stato. Solo allora egli comprese, ma era ormai tardi, che era stato perseguitato in conseguenza della falsa denuncia anonima piuĢ che per il suo āzanellanesimoā.
(omissis..)
Nella tua memoria a proposito della nota riunione in casa Blasich nel 1944 tra autonomisti e partigiani jugoslavi, scrivi che erano presenti, oltre a tuo padre, Nevio Skull e Oskar PisĢkulicĢ e āse ben ricordo, il dott. Smodlaka in rappresentanza del ministero degli esteri jugoslavo; eĢ nota la risposta di mio padre: Ā«voi seguite il vostro destino che noi seguiremo il nostroĀ», come sono note le parole di PisĢkulicĢ: Ā«qui scorreraĢ del sangueĀ»ā. Questo ti eĢ stato detto da tuo padre, eĢ una testimonianza di tuo padre?
SiĢ.
E continui: ātutti gli autonomisti presenti alla riunione furono uccisi, tranne Peteaniā; percheĢ?
Data la sua esperienza ed il prestigio personale nel partito, era stato deciso di inviare mio padre a raggiungere oltre le linee gli alleati. Quando egli me lo disse, e che avrei dovuto accompagnarlo per giunta, ero entusiasta della missione, ma subito egli riprese preoccupato: āse uno dei capi va via, che cosa diranno i miei seguaci?ā Pertanto venne inviato lāing. Leone Peteani assieme al figlio Luigi. Essi, oltrepassata Trieste, abbastanza avventurosamente raggiunsero Venezia, ove li colse il 25 aprile del 1945. Tramite il CLN vennero autorizzati a proseguire il viaggio fermandosi a Bologna prima di raggiungere Roma. A Roma Peteani si prodigoĢ per la causa di Fiume. EĢ noto un suo memorandum. Purtroppo a Fiume avveniva la mattanza e cosiĢ lāingegnere si eĢ potuto salvare, ma non ha mai potuto rivedere la propria cittaĢ.
(omissis)
Tentiamo di ricostruire con i tuoi ricordi il tragico assassinio di tuo padre avvenuto il 3 maggio, data dellāoccupazione di Fiume da parte dei partigiani titini …
Io ero di guardia allāospedale e parlai lāultima volta con mio padre il 2 maggio 1945, prima di andare a prendere servizio in ospedale dove stavo facendo dei massacranti turni di guardia. (…)Ā . Come medico di guardia, non potevo lasciare lāospedale fino a che non arrivava il sostituto e il sostituto non arrivava mai, venivo punito se lasciavo lāospedale senza il medico di guardia. Per questo motivo non potevo sapere chi avesse presenziato alla barbara esecuzione di mio padre. La signora Libera Cobelli, che vive a Trieste, molti anni dopo mi disse che lo aveva visto con le mani legate con dello spago e le tasche rivoltate come se fosse un ladro, spinto in malo modo dagli sgherri che lo portavano al martirio. PisĢkulicĢ comandava questi sgherri. Tutti gli operai del cantiere erano fuori e gridavano āMazeĢlo! MazeĢlo!ā. Gli operai neanche sapevano chi era quello che portavano al martirio e percheĢ. Il cantiere era di fronte alla fabbrica di prodotti chimici. E poi cāerano altri presenti quando lāhanno fucilato, come un certo Berghini (Berghich), un conoscente che lo aveva seguito, nemici e curiosi. La signora Cobelli mi disse anche che erano presenti parecchi dipendenti della ditta Rivolta, della quale anche lei faceva parte. Nonostante i miei ripetuti inviti, intimorita da non so che cosa, non ha voluto testimoniare al processo di Roma. Stessa cosa fece la signora Udovich che viveva a Stresa, ora defunta, che aveva visto per lāultima volta nel carcere, ancora vive, Gigliola Sennis e la madre. Da notarsi che il padre di Lola era un noto antifascista.
Ma chi eĢ venuto a prendere tuo padre?
PisĢkulicĢ in persona eĢ venuto a casa, davanti a mia sorella ha fatto un processo sommario, lui con la moglie, poi lo hanno portato via, mio padre ha salutato la mamma.
Nella tua memoria riferisci che ti sei rivolto a Oskar PisĢkulicĢ per chiedere di tuo padre, di dove lāavessero portato …
Mi rispose che lāavevano lasciato nella fabbrica di prodotti chimici. EĢ stato ammazzato liĢ, ma PisĢkulicĢ non mi aveva detto che era stato ammazzato. Nessuno mi aveva detto che era morto.Ā
Quindi PisĢkulicĢ non ti disse quello che era accaduto?
No, ma visto il suo imbarazzo preoccupato, andai da una della massime autoritaĢ cittadine di quel momento, ovvero lāufficiale partigiano Carlo ManiaĢ, che mi disse con boria che, essendo un nemico del popolo, andava eliminato. Ebbi cosiĢ la triste notizia e, saputa lāesatta localitaĢ, andai allāufficio sanitario del comune per farmi dare i mezzi per poter recuperare il cadavere di mio padre. In quel frangente lāufficio sanitario era diretto dalla partigiana Gioia La Neve, che conoscevo benissimo, figliastra del dott. Scrobogna, una volta fervente zanelliano, divenuto filotitino. La Neve, nonostante fosse iscritta solo al primo anno di medicina, era stata nominata āReferente Sanitariaā della cittaĢ.
Il mezzo funebre era il carro del canicida guidato da un amico dāinfanzia di mio padre. Raggiunto il prato fatale, trovai il corpo di mio padre disteso sul fianco, in un lieve pendio, con in mano il suo fazzoletto e di fianco, ordinatamente disposto, non mi ricordo se il pastrano o la sua giacca, quasi avesse voluto godere ancora un attimo di vita. Da un sopralluogo constatai che era morto coraggiosamente, senza perdere orine e feci, come spesso accade ai fucilati, e come confermato dai testimoni oculari. EĢ inutile che dica che lo avevano derubato di tutto, il denaro, i suoi documenti ed il mio cronografo āTavannesā, che portava al posto del suo orologio che aveva portato a riparare da Nattich e che non abbiamo potuto recuperare. Un altro brutto momento fu quando lo mettemmo nella cassa e lo portammo allāobitorio del cimitero, ove unāanima buona lo ricompose incerottando la testa colpita dal colpo di grazia.
Al cimitero cāera una persona, evidentemente simpatizzante autonomista, che cercoĢ di aggiustare bene questi cadaveri, quelli di papaĢ, di Blasich e di un altro autonomista che non conoscevo. Sopra volavano aerei americani che buttavano giuĢ dei volantini āvi abbiamo liberato!ā, e io piangendo con mio cugino: āsiĢ, siĢ, ci avete liberato della vita!ā.
EĢ stato inumato il 7 maggio nella tomba dei Garzotto, ma siamo stati invitati a non fare il funerale, lo accompagnoĢ mia zia, ovvero la sorella maggiore Giovanna Potosnjak, siamo stati anche invitati a non mettere il nome per evitare che i fiumani andassero alla tomba. Dopo diversi anni abbiamo messo il nome e oggi viene onorato come si merita. Io non potei accompagnarlo, percheĢ mi avevano giaĢ prelevato con destinazione Pisino. Essendo stato assente per parecchi mesi, non ho potuto preservare i documenti lasciati da mio padre nel suo ufficio e contenuti nella cassaforte, i quadri antichi che ivi si trovavano, resoconti delle banche, ecc. GiaĢ il 26 maggio, mentre ero al servizio militare a Pisino, asportarono da casa lāautomobile O.M., che per ereditaĢ era giaĢ mia.
Per inciso, trovandomi a Milano per la specializzazione nel 1956, dal tram intravidi Gioia La Neve sul marciapiede. Scesi immediatamente per sfogarmi, ma alle mie dure parole ella candidamente mi disse che māaveva aiutato, facendomi avere una bara zincata per mio padre, rara in quei momenti. Essendo un gentiluomo, non insistei ad accusarla del suo operato e la lasciai.