Facevo lavoro volontario! Io prendevo un bollino in più per lo zucchero, perché ero lavoratrice d’assalto in Fabbrica Tabacchi. Le sembrerà una commedia, se ci penso ora era tragico. Ma allora si faceva il lavoro d’assalto perché eravamo per la ricostruzione! Bisognava essere bravi, bisognava lavorare! Però io dicevo: ‘Tutta questa produzione, se dopo non è venduta, a cosa serve? Perché dobbiamo ammazzarci di lavoro se non c’è richiesta?’ Perché era tutta propaganda. Lavoravamo per un bollino in più, perché io avevo anche una figlia e una povera sorella con due nipoti, loro non erano in queste storie e non potevano prendere bollini. Lavoravo più che potevo, ma tutta ‘sta produzione andava nei magazzini, ormai si lavorava con le macchine, si faceva tanta produzione, ma restava là.

Lavorando come una macchina, non vedevo neanche il sole, dopo a casa mi aspettava tutto: il lavoro da casalinga, da sarta, che cucivo… ho fatto anche da muratore, con mio marito, avevo le braccia lunghe dal portare materiali! Tanto lavoro signora! Io ero sempre arrabbiata, scontenta… Era cambiato tutto: è andata a remengo l’Italia, è andato a remengo tutto, è andato a remengo anche il lavoro a mano che era il mio. C’erano le macchine che buttavano fuori le sigarette già pronte e belle. Noi dovevamo prenderle su un raccoglitore, metterle nelle scatoline, prenderle giuste: dieci alla volta, perché dovevano stare 20 sigarette nella scatola, no? Allora dieci subito, poi metti una piccola striscia di carta interna, e le seconde dieci, bisognava metterle giuste, con la marca sopra, che si vedano tutte.