08/04/2003 – Le grandi inchieste del Corriere Canadese. La globalizzazione non ucciderà l’italiano

 (Intervista di Antonio Maglio)  

Il “Corriere Canadese”, è l’unico quotidiano in lingua italiana edito in Canada (su 30 milioni di abitanti, gli italiani sono 2 milioni). E’ stato fondato nel 1954 da Dan Iannuzzi. Dal 1995 è affiancato da “Tandem”, che è l’edizione del week-end in lingua inglese e che si rivolge soprattutto ai giovani, molti dei quali leggono male la lingua dei padri e dei nonni.

Una delle caratteristiche del giornale, sin dalla nascita, è stata la sua scelta di scendere in campo con le “grandi inchieste” di carattere sociale che hanno affiancato e supportato le battaglie degli italiani in Canada. E, per certi versi, questo impegno continua.

Una delle inchieste di cui il giornale si sta occupando ultimamente è quello dell’uso della lingua. Antonio Maglio, giornalista, sta pubblicando sull’argomento, una serie di interviste. Ultima, in ordine di tempo, quella con il prof. Konrad Eisenbichler, figlio di esuli lussignani, docente universitario, direttore de “El Boletin” della Comunità giuliano-dalmata di Toronto. Per gentile concessione dell’autore, Antonio Maglio, pubblichiamo l’intervista apparsa sul “Corriere Canadese” il 5 aprile 2003.

Intervista a Konrad Eisenbichler, docente di Rinascimento nella University of Toronto” La globalizzazione non ucciderà l’italiano” Lunga vita a una lingua che dà emozioni” La tormentata consapevolezza di italianità di noi profughi istriani” di ANTONIO MAGLIO

 

Professor Eisenbichler ho l’animo pesante. Ho difficoltà a parlare di sopravvivenza della lingua italiana in Canada quando questa guerra voluta da pochi nega la sopravvivenza a tanti innocenti e anche a quell’equilibrio, ispirato alla pace e al diritto, che bene o male aveva tenuto in piedi il mondo per oltre mezzo secolo…

“E lo dice proprio a me che sono una delle tante vittime della seconda guerra mondiale? Io non penso soltanto agli innocenti che perdono la vita a causa di questo conflitto e agli equilibri mandati in frantumi. Penso anche ai profughi, costretti a lasciare la loro casa e la loro terra e ad andare per il mondo alla ricerca di un’altra casa e di un’altra terra in cui stare. E la cosa mi coinvolge emotivamente perchè, a guerra mondiale finita e a spartizione dell’Europa completata, anche noi istriani dovemmo abbandonare dall’oggi al domani le nostre case e partire. Abbiamo perso tutto, a volte anche l’identità. La mia famiglia si smembrò, fu costretta a prendere vie e cittadinanze differenti, a vivere separata. Ci siamo persi di vista e non abbiamo potuto più rimettere insieme i brandelli della nostra storia”. 

Konrad Eisenbichler, docente di Rinascimento italiano, è Associate Chair and Graduate Coordinator nel Department of Italian Studies della University of Toronto. Tecnicamente è un austrocanadese, ma non perde la speranza di ottenere un giorno la cittadinanza italiana “che solo gli eventi storici mi hanno impedito di avere fin dalla nascita”. Una delle sue numerose pubblicazioni, “The Boys of The Archangel Raphael: a Youth Confraternity in Florence, 1411-1785”, ha ottenuto nel Duemila il prestigioso “Premio Howard R. Marraro” conferito ogni anno dalla American Catholic Historical Association al miglior libro di storia del Cattolicesimo. Il libro è il frutto di una ricerca decennale che Eisenbichler ha condotto a Firenze sul fenomeno religioso e laico delle confraternite; di quella che ha preso in esame, la Confraternita dell’Arcangelo Raffaele, ha illustrato con dovizia di documenti i 375 anni di vita. Ma al di là della ricerca, questo libro testimonia la solidità del legame tra il suo autore e la cultura italiana. Quel legame è stato oggetto di due conferenze che Konrad Eisenbichler ha tenuto nel mese di febbraio nell’Università di Trieste, dove ha parlato del ruolo dei giuliano-dalmati nell’emigrazione italiana in Canada e di letteratura e società nel Rinascimento italiano.

Racconta Eisenbichler, e le sue parole non nascondono una pena antica: “Quando l’Istria, dopo la guerra, fu assegnata alla Jugoslavia ci venne posta l’alternativa di diventare cittadini jugoslavi o di andar via. Fu un dramma perchè noi istriani abbiamo secoli di italianità nei cromosomi. La mia stessa città natale, Lussinpiccolo sull’isola di Lussino, è appartenuta per quasi mille anni alla Repubblica di Venezia prima di passare all’Italia. Com’era possibile diventare jugoslavi dall’oggi al domani? Non era solo il sistema politico che rifiutavamo – Yalta aveva posto la Jugoslavia sotto l’influenza sovietica -; erano soprattutto la cultura, la storia, la società di chi era divenuto improvvisamente padrone della nostra patria a impedirci di cambiare pelle. Ma non potevamo restare anche perchè quel nuovo padrone metteva in atto contro di noi italiani dell’Istria persecuzioni sempre più vili e insostenibili. Gli slavi e gli italiani hanno seguito percorsi differenti, spesso reciprocamente ostili, lungo i secoli, e troppo diversi, questi due popoli, si sono presentati nell’Età Contemporanea. Perciò dovemmo fare una scelta lacerante, sia sul piano emotivo sia su quello tecnico: non potevamo restare, ma dove andare se le nostre radici, i nostri affetti e i nostri interessi erano in Istria?”

Come risolveste il dilemma? “Come potemmo. Poco prima dell’aut-aut un mio zio, temendo l’internamento – prospettiva tutt’altro che improbabile – partì nottetempo da Lussino su una barca a vela e attraversò tutto l’Adriatico finchè non raggiunse Ancona, dove chiese asilo politico. Quando arrivò il momento della scelta, la nonna materna e una sua figlia optarono per l’Italia dove furono immediatamente estradate ma, non avendo nessuno che le accogliesse, finirono in un campo profughi. Mia madre, cittadina italiana, ed io, riparammo in Austria insieme con mio padre: siccome lui era cittadino austriaco, automaticamente prendemmo la sua cittadinanza. Una sorella di mio padre, che aveva sposato un croato, rimase in Istria. Da quel momento la nostra grande famiglia si disperse: noi finimmo in Canada, la nonna materna e la zia negli Stati Uniti, il nonno paterno in Austria, l’altra zia e i cugini rimasero in Jugoslavia. Non ci siamo più riuniti neppure per un matrimonio, un battesimo, un funerale”.In che misura quelle vicende hanno influito sulla sua decisione di dedicarsi agli studi di Italianistica?”In maniera determinante, direi.  E’ stata una reazione alla impossibilità di vivere da italiano in una regione che per secoli era stata italiana: quegli studi mi hanno consentito comunque di vivere la mia italianità, che tuttavia continua ad essere virtuale perchè nonostante le mie richieste non posso avere la cittadinanza italiana. L’isola di Lussino ha smesso di essere italiana nel 1947, io vi sono nato nel 1949; dai documenti risulta che io sono cittadino austriaco nato in Jugoslavia: i conti non tornano, capisce?” Quanta Italia c’è in Canada, professore?”Ce n’è tanta”. Per quanto tempo ancora?”Finchè si continueranno a studiarne la lingua e la cultura. Non bastano la moda, la cucina, l’italian style, il Made in Italy a sostenere l’italianità fuori dall’Italia. Sono importanti, ma non sono sufficienti. Occorre studiare la lingua e la cultura italiane. Noi istriani abbiamo un approccio più travagliato di altri con questo problema proprio perchè un invasore ci ha espropriati con le armi della nostra lingua e della nostra cultura, che erano italiane da oltre mille anni. Gli altri italiani che vivono in Canada – calabresi, abruzzesi, friulani, siciliani, per esempio – non hanno la nostra stessa tormentata consapevolezza di italianità perchè essi non hanno mai corso il rischio di essere derubati della propria identità linguistica e culturale”.E qual è oggi lo stato di salute della lingua e della cultura italiane in Canada?”Buono, ma è in pericolo. E per tanti motivi. Anzitutto perchè si è fermato il flusso migratorio dall’Italia, quindi non c’è quel rinnovo costante di modi di essere, di fare e di dire che c’era prima. Gli italocanadesi stanno diventando più canadesi che italiani, è inevitabile…”.A questo si aggiunge la riforma del sistema scolastico con i tagli dei corsi di lingua…”Quella riforma è stata la scure che ha tagliato le radici non solo della comunità italiana, ma anche di tante altre. Grazie allo Heritage Language Program, in vigore credo fino a una quindicina di anni fa, l’italiano, come buona parte delle lingue locali, veniva studiato fino alle scuole superiori, e all’università arrivavano studenti che ne avevano una buona padronanza. Per noi docenti universitari era facile innestarci su una base già solida di conoscenza e irrobustirla. Ora dobbiamo cominciare quasi da zero”.L’Italia, come mi hanno spiegato i professori Balboni e Trifone (che Maglio ha intervistato nell’ambito di questa inchiesta, ndr), ha messo in atto una strategia di sostegno della lingua e della cultura italiane all’estero. Mi hanno disegnato uno scenario che induce all’ottimismo, sia pure cauto. In Nordamerica c’è il sistema degli Enti Gestori ai quali viene delegato l’insegnamento della lingua e della cultura italiane. 

E’ sufficiente quello che fanno?” Quando lei parla di Enti Gestori, il mio pensiero va automaticamente al Centro Scuola e Cultura del commendator Alberto Di Giovanni e ai suoi 30mila studenti. Io dico che ci vorrebbero tanti Alberto Di Giovanni per frenare l’erosione dell’italiano”.A chi spetta insegnare l’italiano: agli Enti Gestori per conto dell’Italia, o al Governo dell’Ontario?”Nelle zone ad alta concentrazione di italocanadesi, istituzionalmente spetta al Governo dell’Ontario perchè si tratta di soddisfare le legittime esigenze culturali di cittadini canadesi, sia pure di origini italiane. Non spetta certo ad Alberto Di Giovanni mettere in pratica il multiculturalismo che passa inevitabilmente attraverso il mantenimento della lingua e della cultura dei canadesi nati fuori del Canada. In una visione ideale, e forse un po’ utopistica, immagino l’italiano insegnato fino alle scuole superiori a cura del Governo dell’Ontario, e il Centro Scuola e Cultura che affianca questa strategia. Se ciò avvenisse, la nostra lingua avrebbe molti anni di vita davanti a sè”.La comunità italocanadese ha da farsi perdonare qualcosa se lo studio dell’italiano sta lentamente appassendo?”Ma vede, la comunità italocanadese ha fatto tanto. Certo, avrebbe potuto fare di più, ma se non lo ha fatto non è stato per insensibilità o per mancanza di volontà. Il problema è che le generazioni precedenti non hanno sentito l’urgenza del problema: per loro la lingua si sosteneva da sola vista la quantità considerevole dei parlanti. Se c’è un appunto da muovere a quelle generazioni è che non sono state lungimiranti, che non hanno previsto l’erosione dell’italiano man mano che i loro figli e i loro nipoti diventavano completamente anglofoni”.E poi hanno subìto, senza eccessiva opposizione, i tagli ai corsi di lingua…”Certamente. Ma anche questo atteggiamento è riconducibile alla sicurezza che hanno avuto che l’italiano non aveva bisogno per sopravvivere di essere insegnato a scuola. Quindi hanno fatto una opposizione debole all’eliminazione dello Heritage Language Program, e perciò non hanno mobilitato i propri rappresentanti nelle sedi istituzionali.  E’ stato un grosso errore di valutazione. Ma dettoci tutto quello che finora ci siamo detti, non cantiamo il ‘De profundis’ all’italiano: il Canada sta attraversando un momento di crisi, è vero, tuttavia non è una lingua destinata a sparire. Scompaiono le lingue che non vengono praticate, e non vengono praticate le lingue che non riescono a trasmettere emozioni; l’italiano invece, anche se parlato male o con addosso le vesti dell’italiese, svolge ancora una funzione comunicativa in Canada. Dovrebbe essere studiato di più e meglio, questo sì”.Professore, la globalizzazione danneggerà l’italiano?”No. Proprio perchè la cultura e l’economia italiane si sono ritagliate uno spazio ben preciso nella globalizzazione, la nostra lingua non verrà danneggiata. Lo vediamo fin da ora: l’indagine condotta da Tullio De Mauro non ha forse dimostrato che l’italiano è tra le prime cinque lingue più studiate nel mondo?” Per le sue ascendenze e per il luogo nel quale è nato, lei è anche frutto della cultura asburgica, perciò figlio legittimo, diciamo, di quell’impero multiculturale in cui il tedesco era la lingua franca che accomunava nazioni diverse senza tuttavia soffocare le lingue e le culture nazionali. Qual è la differenza tra il multiculturalismo asburgico e quello canadese? “Da qualche parte a casa ho il testo in italiano dell’inno imperiale asburgico, che veniva cantato in 17 lingue diverse. Questo per dirle che persino un momento solenne qual è l’inno nazionale del Paese, nell’impero asburgico teneva presenti le specificità nazionali. Il multiculturalismo canadese e quello asburgico sono due cose differenti: quello canadese è una presa di coscienza che questo Paese sarebbe ben poca cosa senza il contributo alla crescita dato dai popoli venuti qui da tutto il mondo, quindi una necessità, quasi, di farli sentire a proprio agio, una sorta di ricompensa, diciamo. Il multiculturalismo asburgico, invece, nasceva dalla consapevolezza che era difficile tenere insieme un impero così vasto se non si fosse riconosciuto ai popoli che lo formavano – pensi agli italiani, agli ungheresi, ai tedeschi, ai ceki, ai croati – la loro specificità secolare”. Ma non era questo un atto di debolezza implicita?”No, l’impero asburgico era forte perchè era autorevole, non autorevole perchè forte. La sua forza, e la sua autorevolezza, nascevano dalla capacità di tenere uniti popoli così differenti. Ne deriva che noi mitteleuropei abbiamo vissuto per secoli a cavallo, o in bilico, almeno tra due culture: quella della terra che abitavamo, e quella tedesca, che ci veniva dalla lingua franca dell’impero. In Istria vivevamo addirittura a cavallo di tre, quattro e anche cinque lingue, se si pensa che accanto all’italiano e al tedesco si parlavano anche lo sloveno, il croato e l’ungherese. Poi ognuno era padronissimo di scegliere la sua lingua e la sua cultura di riferimento: io e la mia famiglia abbiamo scelto quella italiana. E da italiani continuiamo a vivere anche qui. Mia nipote, nata nel 1983 in Canada, si dichiara canadese di origine italiana, anche se di cognome fa Eisenbichler”.Questa consapevolezza di italianità di voi istriani viene capita dagli altri, che so dagli amici di sua nipote?”Generalmente sì, e viene rispettata. Ma ammetto che possa confondere più di qualcuno. Ma è perfettamente naturale