Liliana Radovini [lo zio di Liliana controllava il lavoro nelle cave di bauxite, venne prelevato nel 1943] La nostra era una grossa famiglia. Perché era tutta una casa, quando c’era mio zio, che era il fratello di mio nonno e aveva due figli e una figlia. Anche i  due figli anche li hanno portati via, mai più visti, in foiba… I li ga nettadi tutti, … Uno aveva la bottega, vendeva vestiario e andava a rifornirsi a Trieste e portava la roba qua. Fino a qualche anno fa avevo un libro così grosso, che lui a tutta la gente del paese dava a credito, così che pagavano quando potevano, il libro è rimasto, lui non incassava niente. Lui non era di quelli cattivi, aiutava tutto il paese: dava il filo, la roba, i bottoni, perché quella volta, non c’era un vestito pronto che si potesse comprare fatto, né per le donne, né per il lavoro… lui dava a tutto il paese, li riforniva. Allora non era uno che ha fatto del male, ha fatto del bene al paese. Per questo noi ci domandiamo: perché hanno fatto questo? I ga nettado tre della nostra famiglia!… Lui era venuto appena a casa, che aveva fatto il soldato a Zara, era bersagliere… mandava sempre un sacco di cartoline. Quando è arrivato a casa, qualcuno dei familiari gli diceva, anche mia cugina che era più anziana di me, gli diceva: ‘Non andare fuori! Non andare fuori!’ Ma lui rispondeva: ‘Io non ho fatto niente’. Così è andato fuori, lo hanno prelevato e mai più visto. Qualcuno ha detto che ha visto che lo picchiavano con il moschetto, qualcuno ha visto nel paese. Poi dopo si è scoperto che c’era una foiba a Susak, e che tanti erano finiti là. 

[Il fratello] con poco tempo di differenza, era tornato a casa dalla guerra e non ha trovato il papà. Pensando di cercarlo è andato in giro per l’Istria e si è messo con i partigiani, pensando di portare a casa  suo papà, credeva forse di trovarlo in qualche prigione, ma così non è stato. Così è stato ucciso anche lui… hanno portato anche i suoi resti. Perché qualcuno è andato a cercarlo finita la battaglia, l’ha riconosciuto e seppellito qua in cimitero […]

Gloria Nemec: La famiglia faceva delle ricerche sugli  scomparsi… 

Liliana Radovini: Mia cugina, quella più anziana, è andata a cercare il papà, anche a vedere quando li tiravano fuori dalla foiba… però non ha trovato niente per dire: questo è lui, per riconoscerlo. […] Ma quello che lei ha visto… non è possibile neanche che io le racconti… Lei andava in giro dove c’erano ritrovamenti, per le foibe, per portare a casa le ossa di suo papà. Lei aveva la forza di farlo e sperava. 

Gloria Nemec: La mamma è rimasta qua?

Liliana Radovini: Vestita di nero, a piangere tutta la vita. Io le dico che la mia infanzia l’ho trascorsa tra queste zie e la nonna, sempre vestite di nero, sempre a piangere i loro morti, poi mia nonna impazziva, sempre con il libro e il rosario in mano… lei  non si rassegnava di averli persi… perché anche erano buone persone…. mia zia poi era una persona fragile, sempre le prendeva male e cascava per terra, dal dolore. Lei viveva ma già morta, anche se non aveva… neanche 50 anni forse. Le prendeva sempre male, aveva sempre l’affanno, era sempre con le sue bottigliette che odorava, quasi sempre chiusa in camera. Poi è vissuta tanto, è andata a Isola con la figlia, ma non ha mai smesso di piangere. Mia nonna diceva che di notte i morti venivano a chiamarla e allora lei piangeva e diceva: ‘Anima terrena, dimmi la tua pena, se posso ti aiuterò’.  La sentivo che diceva così.