Livia Chiurco: Gli istriani, non sono tanto vendicativi, non so… hanno un carattere più sottomesso, remissivo… La società così si è ricomposta: con i serbi, i croati… con tutti, una babilonia. Si sono calati tutti, però cosa sono venuti a fare? I capi. Perché noi istriani non eravamo buoni per governare, noi eravamo buoni solo per lavorare e obbedire. Dove c’erano posti da dirigente, dovevano venire da fuori. Perché loro erano più colti, una cultura più antica della nostra, no? E noi sempre e sempre… remissivi e paurosi. Per esempio io non ho mai mangiato le sarme. E tutti invece dicevano: ‘Che bone! Che bone!’ Tutti ‘sti ćevapčići magnar… anche in cucina io non ho mai accettato queste cose. Prima di tutto sono troppo pesanti, poi non mi piacciono le misture… Io dico: mettimi qua i cappuzzi e qua la carne, non tutto assieme. Noi per mangiare eravamo un po’ complessati, pensavamo che era migliore la loro cucina, migliori gli usi loro… Pensando a quegli anni, noi anche in questo ci sottomettevamo, pensando che loro erano superiori, avevano una cultura balcanica netta, invece noi… forse perché viviamo al confine… forse per come si parlava a casa. Una cosa che io non ho mai sentito: quel senso di appartenenza che bisognava avere, io non lo sentivo. Io non sentivo di essere jugoslava, come avrei dovuto sentirmi.

[Da G. Nemec, Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Unione Italiana Fiume – Università Popolare Trieste – Università degli studi  Trieste, Centro di ricerche storiche Rovigno, ETNIA vol. XIV, 2012.]