A Pola ho contratto nuove amicizie e molte conoscenze, lì mi trovo a mio agio e talvolta nelle mie frequentazioni ho l’impressione di non essermi mai allontanato. Eppure, pur essendo passato tante volte per la mia strada, non ho mai avuto la forza di varcare la soglia della casa paterna, quasi che con quell’atto potessi distruggere il ricordo di come l’ho vissuta: i suoi arredi, gli oggetti familiari e cari, i momenti più significativi della mia infanzia e giovinezza, i miei sogni di allora. Ho impressa nella mente anche l’immagine di come l’ho vista l’ultima volta: svuotata, vuota. Di quell’alba invernale di quando abbandonammo la casa, rivedo mio padre che si accingeva, come normalmente era solito fare, a dar un giro di ciave al porton de casa. Desistette. Era ormai un atto inutile e, con un gesto del braccio, ne allontanò la visione e forse il ricordo di tutta la sua vita passata là dentro.

[Da L. Dorigo, Il trauma dello sradicamento, in G. Nemec, Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine 1945-1970, Circolo Istria – Collana 180, Edizioni alpha beta Verlag, Meran/Merano 2015]