C’era tanta neve, e il Toscana faceva tre viaggi alla settimana fino ad Ancona o Venezia o dove erano diretti. La gente sembravano tanti zingari, col sacco sulla spalla e col carretto a mano. Poi in Istria ci sono gli asinelli – tipo [quelli] sardi – e [vedevi] sti carretti con gli asinelli pieni di pacchi, di scatole. E la mattina presto io andavo sempre a vederli, perché tutte le volte c’erano delle amiche o degli amici che partivano, e mi sembrava di scoppiare. Eppure io non potevo, perché i miei non avevano optato, ma era una tristezza unica! E la gente, dalla rabbia, quando andava via lasciava… Non c’erano le serrande, noi dicevamo gli scuri, e li lasciavano aperti per rabbia, che si distrugga [la casa] che tanto a loro non serve più. E allora quando c’era il vento o pioveva, sentivi ste finestre che sbattevano e sbattevano, e rimbombava il vuoto della casa: era una tristezza anche camminare per strada, perché proprio sentivi il vuoto: porte che sbattevano, finestre che sbattevano, perché era tutto vuoto. Era una città che si era svuotata.

[Da E. Miletto, L’esodo istriano, fiumano e dalmata in Piemonte. Per un archivio della memoria, Istoreto, Torino 2013, http://intranet.istoreto.it]