Io avevo un moroso che era segnato dal Cominform, ed è stato arrestato.[…] E allora mia suocera veniva ad aspettarmi fuori dall’ufficio alle 2.00, che l’accompagni alle carceri a portare la roba da mangiare e tutto. E quelli dell’UDBA ogni giorno fotografavano sta fila che stava fuori dalle carceri e quindi io ero segnalata fotograficamente. E quindi volevano sapere, [anzi] sapevano – perché lui sono venuti a prenderlo in ufficio, lui lavorava al secondo piano, io al primo – chi venivo a vedere. E allora quando mi chiamavano mi dicevano: tanto noi sappiamo, e mi facevano vedere le foto. Cosa vai a trovare quello lì, mi dicevano, che tra qualche giorno lo facciamo fuori!? Mi dicevano tutto contro di lui, mi dicevano che dovevo ritirare l’opzione e[che non dovevo più parlare]con la [sua] famiglia… Tutto perché dovevo ritirare l’opzione. E allora siamo andati avanti così per parecchio tempo: mi hanno licenziata, [mi hanno lasciata] senza tessera e senza niente.[…]

Voglio dire una cosa a favore dei monfalconesi. Perché per noi vedere in mezzo a quellagente là sti ragazzi che parlavano tutti italiano, cantavano in italiano, giocavano tutti al calcio: sembrava una vampata di aria buona! Io conoscevo tanta gente, perché sono andata a scuola lì in città, ho sempre lavorato, e ho conosciuto una signora di una certa età venuta da Monfalcone. Era membro del partito, ma con un incarico abbastanza [importante] che da Monfalcone è stata trasferita a Pola. L’ho conosciuta e mi è piaciuta. E le ho raccontato la mia storia: in [una] settimana sono andata a lavorare nell’impresa dove lavorava lei. E lì i suoi – perché lei essendo venuta da Monfalcone, con la tesseradel partito, con una cultura perché aveva quarant’anni quando noi ne avevamo venti – mi portavano tutti sul palmo della mano, perché la Antonietta, così si chiamava,  ha raccomandato la signora Maria; la signora Maria è stata raccomandata da Antonietta. E allora lì ho incominciato di nuovo a lavorare, ad avere la tessera, ma grazie a quella, e non grazie a quelli di Pola che han fatto carriera sul sangue dei nostri ragazzi e sulla pelle della nostra gente. […]

Lui[mio marito]è stato a Pola due mesi e poi è andato a Goli Otok. Nove mesi. E lui non l’hanno mangiato i pesci, è venuto a casa. Mal conciato ma è venuto. Un altro – che sua mamma era amica di mia mamma–un maestrochegli erano nati due gemelli nel periodo che lui era a Goli Otok, lo hanno mandato a casa in cassa[morto]e gli hanno detto alla mamma anziana che era morto di polmonite. Mio marito è uno dei pochi che ha avuto la fortuna di tornare.Lui [e il suo amico Armando che era stato con lui] avevano tanta paura addosso che non dicevano neanche beh del passato, perché ci andava la vita di mezzo. Armando conosceva mio marito per anno di nascita, per scuole e cose cosìe con mio fratello [era amico] perché eravamo vicini di casa. E quando sono tornati da Goli Otok, nessuno li voleva prendere a lavorare.Questo amico era un maestro, e dice: devo cambiare mestiere, perché magari in qualche ufficio mi prendono. E allora si è messo a imparare il bilancio – entrate, uscite, cose così– perché magari qualcuno mi prende, e mio marito gli insegnava. Perché mio marito prima di andare a Goli Otok era capo ufficio, e gli insegnava questo e quello. Lui era già sposato con una figlia. E un giorno dico [a una mia amica]: sai che è tornato Armando? Ma non trova lavoro. E lei mi dice: ma lui era maestro, che cosa gli facciamo fare? E dico: guarda che andava da mio marito a farsi insegnare il bilancio… allora te lo prendi con te,se te lo prendi con te e gli insegni … Dico: ma guarda che ti metti nei guai neh? Lei era una di questi che erano venuti nel 1947 dalla Dalmazia. Però era una persona molto intelligente, apolitica al cento per cento, perché mai avrebbe detto quello che non doveva, si guardava bene e cercava di fare carriera nel suo lavoro. Lei era slava, però parlava italiano benissimo, era pro Italia, con tutto che era della Dalmazia. Ma in Dalmazia c’era gente così. E l’hanno preso a lavorare sto ragazzo, […] C’era veramente da aver paura di quello che ci aspettava. Guardi che [uno] non doveva avere delle colpe o aver fatto del male, bastava che un vicino di casa dica all’UDBA o all’OZNA – non mi ricordo più se era prima uno o poi l’altro – guarda quello lì, così e così,e basta, di notte, ti venivano a prenderee non si sapeva più dove eri, né vivo né morto. Questo succedeva. Mio marito quando è tornato da Goli Otok, è tornato malato, ci siamo sposati e poi siamo andati ad abitare vicino a mia mamma. E là, vicino a mia mamma, c’era anche – proveniva da Goli Otok– un amico di mio fratello defunto, che però conosceva bene anche mio marito. La mattina mi hanno chiamato all’UDBA e [mi hanno chiesto]: cosa viene a fare Armando a casa vostra? E io [rispondo]: non so, a chiacchierare con mio marito. Perché quando viene Armando tu vai via? Io abitavo vicino a mia mamma,e qualcuno sapeva che quando veniva Armando io andavo da mia mamma, e allora secondo loro, loro complottavano qualcosa contro i drusiche io non dovevo sentire. E allora la mattina mi chiamavano all’UDBA e [mi chiedevano] ma perché questo, perché quello, perché, perché…Non era mai finito![E io sono andata via] perché ero stufa di essere maltrattata e di essere segnalata: maledetta italiana, maledetta italiana, non sapevi mai cosa ti aspettava domani mattina.

[Da E. Miletto, L’esodo istriano, fiumano e dalmata in Piemonte. Per un archivio della memoria, Istoreto, Torino 2013, http://intranet.istoreto.it]