06/09/2007 – Incontro con i giuliano-dalmati in Canada: Maria Zuccon Marchionne

(Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin)

“Entrate, entrate”. Maria Zuccon ci accoglie nella sua bella casa, un vasto appartamento arredato con gusto e ricercatezza, nel condomino di una zona elegante di Toronto. Il suo accento del sud svela immediatamente una lunga permanenza in qualche città del meridione italiano, così il suo caloroso benvenuto ed i riti sacri dell’ospitalità: una tazzina di caffé sorseggiato tra un racconto e l’altro, un bicchierino tanto per gradire e poi una fetta di dolce, un tiramisù squisito preparato con le sue mani. “Ho sempre cucinato tanto – racconta – la famiglia di mio marito era numerosa e quando arrivavano a casa nostra potevano trovare sempre qualcosa di pronto”.

Ma l’Istria?Due frasi nel nostro dialetto, e rimaniamo strabiliati. L’accento è perfetto. Ma la storia che la riporta, per un mezzo pomeriggio, col pensiero ed i ricordi alla sua casa di bambina e di ragazza, è costellata di momenti gioiosi ed episodi tragici. Alza le braccia, quasi a scacciarne la memoria e si copre, per un momento, gli occhi.Maria è nata a Carnizza sulla costa orientale della penisola istriana.
“Al mare ci andavamo a piedi –ricorda – in quelle estati calde ci accompagnavano il frinire delle cicale e il sole a picco, ma la ricompensa era un mare stupendo ed i nostri giochi sulla spiaggia e le nostre grotte”.La famiglia gestiva un grande emporio nella piazza principale della piccola località che forniva anche Castelnuovo ed i centri circostanti dove abitavano le famiglie dei minatori. La vicinanza delle miniere di carbone di Arsia e Albona, rendevano fiorente l’attività dei genitori di Maria, ai quali presto si aggiunse anche l’aiuto di Anna, l’altra sorella. 

“E’ sempre stata lei – conferma – ad avere il pallino per gli affari e la capacità di relazionarsi con i clienti, tutto il paese la stimava e le volevano bene. Mio padre diceva spesso a mia mamma, tra il serio e il faceto, che vista la sua intraprendenza, loro potevano anche smettere di lavorare”.Si viveva bene e le giornate si susseguivano serene, anche gli altri due fratelli maschi davano una mano ma non quanto Anna. All’età giusta Maria incontra l’amore, un ragazzo abruzzese, brigadiere dei carabinieri di stanza a Carnizza. Ma la guerra porterà angoscia e disperazione.

“Nel 1943, dopo l’8 settembre vennero ad arrestare mio padre. Non era gente del posto, anche se i mandanti, chissà…Mio fratello, che era militare di leva, giunse a casa proprio in quei giorni e andò a cercare notizie su nostro padre. Non ritornarono più e di loro non si seppe mai più nulla…Quanto dolore, che strazio per la famiglia. Noi tre donne di famiglia, lasciammo Canizza e ci rifugiammo nella casa del nonno, in campagna. L’altro fratello era militare in Sardegna. Furono anni difficili. Dall’emporio venne portato via tutto, sequestrato dal potere popolare. Si fece addirittura un processo sulla pubblica piazza affidato ad un funzionario che non avevamo mai visto prima. Fu Anna, con un coraggio invidiabile, a presentarsi con in mano il registro dei creditori. Mio padre aiutava volentieri le famiglie nel momento del bisogno, gli chiedevano dei prestiti e lui segnava sul famoso libro. A volte pagavano, spesso non ce la facevano ma rimaneva la parola data, prima o poi avrebbero saldato. Non fu necessario aprire il libro, la popolazione locale difese la famiglia e questo ci diede un po’ di consolazione. Ma il ritorno dei nostri cari, che abbiamo atteso con ansia per tanto tempo, non avvenne mai. Mio padre aveva 49 anni”.
Il governo italiano ha dato le medaglie alla memoria, alle famiglie degli infoibati…
”Non l’abbiamo mai chiesta, è troppo doloroso ricordare, che giorni infami!”.

Fu allora che lasciò l’Istria? 

“Me ne andai nel 1947 perché nell’aprile di quell’anno andai sposa a Concezio Marchionne che aveva avuto questo nome curioso perché nato l’8 dicembre nel giorno dell’Immacolata Concezione. Ci trasferimmo a Roma e poi a Chieti dove egli continuò con il suo lavoro. Nacquero i nostri figli, Sergio e Luciana”.

E il Canada? 
“Mio marito andò in pensione nel 1966, mia sorella Anna era già in Canada ed il mio desiderio di starle vicino, ci portò a fare il grande passo. Lasciammo Chieti, dove eravamo stati comunque felici, per Toronto. I nostri figli hanno continuato qui le scuole. Anna aveva aperto un negozio elegante di abbigliamento per gli sposi, le damigelle e gli invitati alle nozze col nome di “Pola ladies wear”. Le era sempre piaciuto occuparsi di commercio, anche a Canizza nel nostro emporio si potevano comprare vestiti, stoffe. Si andava a Trieste insieme ad ordinare la roba ed ogni volta compravo un cappellino, mi piacevano tanto. Pola in quegli anni era una città elegante, la gente vestiva alla moda”.
Che cosa le piace del Canada?
“L’ordine, la pulizia, il rispetto, l’umanità”.
Ma in Istria è mai tornata?
“Poco, sono andata a rivedere mio fratello. Quando tornò dalla Sardegna, fu lui ad occuparsi della famiglia. E quando noi ragazze ce ne andammo rimase con nostra madre che mai si sarebbe spostata da quei luoghi, e così è stato. Vive nella nostra casa di Carnizza. Ho portato i miei figli e i miei nipoti a vedere il luogo dove sono nata, ma la sofferenza dei ricordi non ha permesso di allacciare rapporti più stretti con quella realtà, anche se la bellezza di Pola, di Carnizza, e l’affetto dei familiari sono certamente un richiamo”.

Che cosa si è portata di particolare da Canizza? 

“Una madonnina che era stata di mia madre…aspettate, ve la faccio vedere!”. 

Raggiunge la stanza da letto dalla quale ritorna con la statuina di porcellana di una madonna con il capo reclinato e uno sguardo di profonda pietà stampato sul volto diafano. Le tradizioni istriane, fanno ancora parte della sua esistenza…? Ci pensa per un attimo e la prima parola che pronuncia quasi scagliandola sul tavolo di vetro attorno al quale abbiamo preso posto nella vasta cucina, è: “jota”. Ridiamo insieme di questa reminiscenza. La lista s’allunga con crauti e salsicce, lo strudel e le pinze e il discorso scivola sul mondo affascinante della cucina a testimonianza dell’importanza di sapori e profumi nella cultura individuale che diventa collettiva.

“Ora cucino per i miei nipoti” – racconta con soddisfazione. “Frequentano le scuole in Svizzera dove mio figlio si è trasferito tempo fa per ragioni di lavoro”.

Parla con affetto e pudore di questo figlio, Sergio Marchionne, amministratore delegato, con il presidente Luca Cordero di Montezemolo, l’uomo più importante della Fiat, colui che ha cambiato le sorti dell’azienda, lo specialista che godeva della fiducia di Umberto Agnelli. 

“E’ un gran lavoratore, del resto lo è sempre stato, sin da quando era ragazzo e faceva questioni col padre perché voleva trovarsi un impiego durante le vacanze scolastiche. Ci fu un episodio che ci fece divertire tanto. Una mattina partì prestissimo con un camioncino di operai edili. Tornò verso casa dopo le nove e passando da mia sorella Anna le disse che se qualcuno gli avesse impedito di studiare… guai a lui! E’ sempre stato così…Anche adesso è tanto impegnato, il mio Sergio”.
Ci fa vedere alcuni dei giornali che hanno scritto di lui ultimamente, lodandolo come manager ma, quello di cui va più fiera, è una cronaca apparsa su una rivista dell’Arma dei Carabinieri nella quale è descritto l’incontro con Marchionne durante una serata come loro ospite d’onore.

“Venite, venite, via faccio vedere le foto dei miei ragazzi, i due figli di Sergio e il figlio di Luciana, sono la mia gioia”.

A Toronto frequenta i giuliano-dalmati? 

“Conosco alcune famiglie, quella di Ida Reia in particolare. Una volta ci si incontrava spesso, ora lei è nel pensionato di Casa Colombo. Nonostante i suoi 95 anni è vispa e allegra, quante cose sapevamo raccontarci della nostra vita istriana, anche se io sono di Pola e lei di Carcase, ma qui le distanze scompaiono, quando s’incontra gente di casa nostra ci si sente improvvisamente in famiglia”.

Vale per Maria Zuccon Marchionne, vale per noi che in questo viaggio in Canada continuiamo ad incontrare una solidarietà ed un affetto che colpiscono per la loro schiettezza, naturalità, spontaneità e profondità. Potrebbe sembrare un omaggio all’emozione del momento ma quando diventa una costante in ogni gesto, in ogni incontro, ci sorge la “ragionevole certezza” che dove c’è la nostra gente, ci sia davvero casa.