La rottura è stata generazionale, magari certi giovani partivano e dopo anni venivano a recuperare i genitori anziani, portandoseli magari a Torino, a Firenze, o altrove. Sradicavano la pianta e questi morivano subito. Adesso abbiamo questa consapevolezza, loro invece pensavano di fare tanto bene, invece facevano tanto male per conto mio. Da questi casermoni grandi delle Baracche li portavano magari in un bell’appartamentino dove tutto era asettico e il vecchio non sapeva neanche dove andare a pisciare che gli pulivano subito dietro. Morivano subito.

[…] Io ho perso il nostro drappello baraccher. Posso dire che è un dolore che ancora adesso mi fa piangere, ma sarà per veciaia… un dolore immenso è perdere le proprie coetanee nell’adolescenza. Io non lo auguro a nessuno! Io ho perso il nostro drappello baraccher,perché le amicizie erano della classe, del vicinato e del rione forse ancora più strette sino a diventare viscerali. Quella fu una grandissima lacerazione perché attraversi la vita e tocchi con mano le diverse forme dell’amicizia, però pure, pulite, indelebili rimangono quelle di scuola e del vicinato. Cosicché andare in pensione… Ecco questo ambisco a dirti: io ho finito come professore ordinario e sarebbe stata una cosa naturale nella terza età, da pensionata, di ricercare l’amicizia di persone che hanno lavorato con me una vita, prima nel ginnasio croato per 17 anni e poi in facoltà, amicizie con colleghe, più larghe, più strette. Invece no, Gloria! Son proprio tornata indietro con una ricerca affannosa di ricreare un nucleo antico! A me tutto il ciclo vitale ha portato soltanto ad essere di nuovo baracchera e proletaria.

[Da G. Nemec, Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Unione Italiana Fiume – Università Popolare Trieste – Università degli studi  Trieste, Centro di ricerche storiche Rovigno, ETNIA vol. XIV, 2012.]