Noi siamo venuti via il 26 novembre del 1955. La mia famiglia era una delle ultime, perché  aveva la stupidità di pensare che poteva sempre cambiare, no? Che non occorreva andar via, invece è venuto anche quel giorno. Al confine ci hanno aspettato, ci hanno dato la cioccolata con i biscotti e poi ci hanno portato chi da una parte, chi dall’altra. Noi eravamo destinati a Padriciano. Avevamo la baracca numero 16. In quella baracca ho vissuto sette anni. Quattro metri quadrati con otto persone! Abbiamo passato quel grande freddo del ’56, se non sbaglio. In baracca c’era tanto di quel freddo, che la pipì, scusate il termine, si gelava anche quella.  C’era un lungo corridoio esterno da fare per andare ai gabinetti, di notte ci arrangiavamo… addirittura come usciva il fiato sulle coperte si formavano dei ghiaccioli. Quanto freddo abbiamo patito! La mia bambina quella volta aveva cinque anni, l’hanno portata in ospedale, al Burlo, per tenerla al caldo: ha preso tutte le malattie possibili che c’erano dentro! […] Io non ho avuto aiuti da nessuno! Una volta sola mia figlia  è stata in colonia. Lei non era fatta per la montagna, ma il dottore aveva detto di mandarla in montagna: «Mamma, io non vado, sai, in montagna!». «Ma chi ha parlato di montagna? Tu vai al mare, al mare!». Allora, perché non capisca, le ho messo in valigia il costume da bagno con l’asciugamano… così è partita felice! [Ridendo]. Poi andava avanti il treno e guardava: «Ma qua xe tuto monti… ma non andiamo in montagna, vero?». «Sìì – dicevano le amichette – certo che in montagna andiamo!». «No! Andiamo al mare, perché mia mamma mi ha messo il costume!». Provi a chiederle quanto ha pianto!

[Nerina Pugliese – Gloria Nemec]