Silvio Brunelli: “Io sto qua e bon, lasciatemi morire sulla mia terra”
Partire / restare
Mia mamma sarebbe andata via, ma mio papà aveva fatto due guerre mondiali e non voleva. Mia mamma come statale poteva andare via subito, poteva approfittare perché era maestra dei sigari e a Firenze tutti quelli che andavano hanno avuto lavoro e tutto. Il dramma era questo, che mio papà diceva: ‘Io non vado, ho fatto due guerre, non perché non voglio andare in Italia, ma perché non ce la faccio più’. Ormai aveva quella volta, nel ’51, 63 anni. Diceva che era tornato dalla prima guerra mondiale e aveva trovato tutto distrutto, che poi era stato richiamato per la seconda guerra, aveva dovuto ricominciare di nuovo tutto e non ce la faceva più. Diceva: ‘Io sto qua e bon, lasciatemi morire sulla mia terra’… Perché sapeva che tutti i contadini andati per il mondo sono morti subito, il vecchio contadino non può sopravvivere, i giovani sì perché andavano a lavorare nelle industrie. Ma so di tantissimi della mia contrada che dopo tre-quattro anni morivano tutti, non potevano ambientarsi e cominciare una vita nuova, se erano già morti psicologicamente… Invece è andato via solo mio fratello maggiore, lui ormai si era sposato qua e il dopodomani è andato via via nel ’51, lui era il portatore della famiglia, proprio… era il più anziano, ma aveva detto che non ce la faceva più… Mentre hanno fregato mio fratello quello del ’30, col fatto che doveva fare il militare. Povero, lui voleva optare! […] Ma non lo hanno mollato. Mia mamma aveva già preparato le opzioni per lui, perché mio fratello era uno sportivo. Sotto la finestra venivano a volte 30 fra ragazzi e ragazze a salutare, tutti quanti i suoi amici sono andati via, tutti! Invece a lui era arrivata la cartolina per andare in Bosnia, ed è dovuto andare. Quando è tornato a casa, ormai tutti i suoi amici erano andati ed era terminato il periodo delle opzioni nel ’52. […] Poi lui ha fatto una vita, sinceramente… io essendo più giovane, essendo rimasti più miei coetanei, non mi è rimasto questo vuoto. Io mi sono aggregato con lo sport, il lavoro… ho trovato un modo di stare. Invece mio fratello, dal ’52 in poi, fino alla sua morte, che è morto questo inverno, lui non ha recuperato mai, non aveva le forze per recuperare. Ha fatto famiglia qua, ha fatto il falegname, lavoravamo nella stessa ditta. Ma lui ha sofferto, perché non è arrivato a integrarsi col nuovo… è rimasto solo, i suoi amici erano tutti italiani e sono andati via, della sua generazione non era rimasto nessuno… quelle bellissime ragazze che c’erano, quei ragazzi sportivi, dinamici… tutto d’un tratto non c’era più nessuno. Lì è stato un trauma che in tutti gli anni della sua vita, facendo pur la famiglia, continuando pure a giocare a calcio fino ai 40 anni, facendo pure i figli, lui non era riuscito a metabolizzare questo fatto. Sa quando queste cose succedono quando hai vent’anni… sono le cose più importanti che ti possono succedere… quello è stato proprio un furto.[…] Lui è morto da persona arrabbiata, perché non ha accettato mai questo furto.