Argia Barbieri: Valle si è svuotata tanto nel ’48-49, ma il ’49 è stato proprio il culmine dell’esodo. Si è svuotata: mi sembra che siano rimaste  800 persone. Da spararsi, dico io. Se i miei non mi avessero portato via, trovarmi in un paese completamente vuoto…Perché in centro, dove abitavo io , nel centro storico, non c’era nessuno più. Un paese fantasma…Ma tutti i paesi. C’eran quelli in cui erano rimaste tre o quattro famiglie. […] Noi si doveva andare via nel ’47, cioè mia mamma, mio papà, io, mio fratello prima di me e una mia sorella più piccola. Poi però mio papà  ha detto: ma no, poi magari cambiano le cose e poi sa, lasciare la casa…Mio papà non era mica giovane quando siamo venuti, aveva cinquantuno anni quando siam partiti di là, e mia mamma ne aveva quarantanove. Poi siamo partiti nel ’49 perché mia mamma a tutti i costi voleva venire via […]. Per me [il viaggio] era un’avventura, io non vedevo l’ora di andare via. Siam partiti col carrettone di legno che ci portava le masserizie, e avevamo il posto nel vagone insieme a un’altra famiglia. Siamo dovuti andare a Dignano perché noi la stazione non ce l’avevamo. […]  Avevamo sempre dei bauli appresso, con la biancheria, coi materassi e con tutto. Non vedevo l’ora di andare a Trieste e lì per me è incominciata l’avventura. Siamo arrivati a Trieste e io non sono neanche finita al Silos, perché eravamo ospiti da mia sorella. Al Silos erano andati solo mio papà, mio fratello e un mio zio che viveva solo ed era venuto via con noi. Poi da lì siamo andati a Udine… a Udine…una meraviglia! Dormivamo –  c’erano degli stanzoni tremendi – tutti insieme. Senza divisione e senza niente, perché lì era un campo di smistamento. […] Stavi un po’ lì e dopo venivi chiamato in direzione e ti dicevano: abbiamo destinato di mandarvi a…A noi volevano mandarci a Santeramo nelle Puglie. Mia mamma [disse]: lì, coi talian, per l’amor di dio! Perché noi, dalle nostre parti, il meridionale si chiamava talian. Oh per l’amor di Dio, no, no! E lor dicevano: o là signora o a Catania. A Catania!? No, niente da fare! E allora poi ha detto: ma perchè non mi mandate a Lucca che c’ho una sorella lì? E allora a forza dopo otto giorni siamo andati a Lucca. [Il campo] era in piazza del Collegio, proprio attaccato alla chiesa di San Frediano. Il campo era tra le mura di Lucca e [dentro] c’era tutto: le camere, l’infermeria che sembrava un ospedale , c’era una palestra, e lì hanno ricavato quattordici box ed eravamo quattordici famiglie. Ma non è che fosse stata immensa [lo spazio]: c’era tre metri per tre metri, per porta c’era una coperta, hanno chiuso non fino in alto , ma fino a un certo punto: sopra era tutto aperto e noi stavamo lì […] Il primo anno ci davano da mangiare loro [il personale del campo], perché avevano una cucina grandissima. Facevano pranzo e cena, iniziando con il caffè alla mattina.Poi hanno tolto questo sistema qui e ci davano un sussidio, un tot al giorno. [Poi] ci davano anche da vestire: ogni tanto arrivava della roba in magazzino, delle stoffe e allora uno asi sceglieva la stoffa per il cappotto o cosa. Poi c’erano anche dei pacchi, dei pacchi dono, ad esempio per la befana, che dentro c’erano cose per ragazzini, per bambini. […] I primi giorni per mia mamma penso siano stati tremendi. Perché come siamo arrivati, [c’era] già la gente che ci guardava per strada. Però avevano ragione, perché ti vedi arrivare tutta sta gente…Venivano [a prenderci] con dei grossi carrettoni coi cavalli, prendevano tutta la roba che si poteva e ci portavano attraverso tutta la città e ci accompagnavano al campo profughi. E ti guardavano come i marziani: vedere tutta sta gente, non sapere che o cosa, praticamente subito dopo la guerra, non penso che sia stato facile neanche per loro. All’inizio c’è stato un po’ di diffidenza, ma poi è tutto rientrato. […]  A Torino invece abbiamo avuto più discriminazione. Nelle fabbriche, [soprattutto] nelle fabbriche cominciavano a dirti qualcosa:ci davano per fascisti tutti quanti, specialmente quando c’erano gli scioperi che noi non facevamo. Ma [non facevamo] quelli che non erano giusti. Cioè, gli scioperi per i contratti li ho sempre fatti, quando poi però facevano gli scioperi per altre menate è ovvio che [non li facevo]. 

  1. Miletto, L’esodo istriano, fiumano e dalmata in Piemonte. Per un archivio della memoria, Istoreto, Torino 2013, http://intranet.istoreto.it