[Jolanda Marchesich, vedova Sema, nata a Pregara (allora comune di Pinguente, provincia di Pola) nel 1924. Arrestata assieme al padre nel 1944, venne rinchiusa prima a Portole, poi al Coroneo, quindi deportata ad Auschwitz, poi a Hirtenberg, liberata a Mauthausen. Fu arrestato e deportato a Buchenwald anche il fratello, anch’egli sopravvissuto. Tornata a Pregara si fidanzò e poi sposò con Giovanni Sema, vivendo prima e a Villa Semi e poi a Momiano. A seguito di pressioni e soprusi, in occasione delle elezioni del 1950, il marito decise di trasferirsi a Trieste]

 Io lavoravo su da una famiglia, che deo gratia che mi hanno presa e avevo dove dormire e mangiare. Perché un po’ ci davano alla mensa, alla postbellica. E dovevo venire da via Romagna fino in via Settefontane: pranzo e cena. A piedi! Due volte al giorno. Per non perdere i diritti. E per dormire non avevo dove. Né io né lui. Ma nei campi profughi non siamo andati mai! Mio marito mi ha portato una volta a Opicina. Vedo queste baracche. Tipo in lamiera. Quando ho visto questa cosa, mi sono cascate le braccia e ho detto: “Giovanni, andiamo via, immediatamente. Ti prego, andiamo via! Portami via, se no divento matta.” Mi è venuta una roba dentro di me, guai se non mi portava via. […]  Poi eravamo come zingari. Zingari! Là c’era una famiglia, là vicino alla Pepsi Cola…avevano una casa e una stalla, là pagavamo cinque mila lire di affitto, per quella stalla. Qua era la porta per andare a dormire e là c’era la stalla delle mucche Ci hanno dato due letti della postbellica, di ferro, con due materassi di crine e due lenzuoli di cotonina, avevo un tappetino, un bollitore. Dopo da là siamo andati, mi pare in ottobre del 1954, a S.Croce. Là erano baracche e là abbiamo cominciato un po’ a respirare.  Baracche, ma rispetto a Opicina erano come una villa! Te lo giuro! […] Eravamo tre famiglie per baracca. Là pagavamo l’affitto, perché ci hanno detto che – mio marito ha chiesto come mai, visto che a Padriciano, a Opicina non pagavano, come neppure a Prosecco, a Noghere – e gli hanno detto che queste a Roma rappresentavano… erano considerate villette. Pagavamo l’affitto e la luce. E io venivo ogni mattina a Trieste a fare qualche oretta… Ho trovato delle buonissime famiglie […] Mio marito andava per tutte le  campagne a lavorare, poi andava di notte in Ferriera ad aspettare, se venivano barche per scaricare carbone. Aspettava per ore e ore. Poi gli capitava di fare due turni insieme. Le notti veniva giù da S.Croce in bicicletta, dopo che si era comperato una bicicletta. Dopo lo hanno assunto alla Nettezza urbana. E allora lui era al settimo cielo. 

[Jolanda Marchesich ved. Sema – Dunja Nanut ]