[Era seconda di sette figli] Noi avevamo un po’ di campagna, le pecore, eravamo poveri, nessun padre era ricco qua a Dignano… perché la mia sorella più grande, Maria, che era del ’21, lavorava a Fasana, che c’era la fabbrica delle sardine, che lei le inscatolava. I miei dicevano che io non dovevo andare là, allora mia mamma ci insegnava come dovevamo fare, ci insegnava a cucire, a riparare, a fare, così io sono diventata sarta. Lavoravo sotto paron già a 11-12 anni. Guardi, là ho la macchina per cucire, bella, e giù ne ho un’altra. Ho fatto divise di militari a Pola, per i militari italiani. E quando andavamo a portarle… – ero bella, sa? Ero proprio bella – andavamo a piedi a Pola a portarle, poi con la bici, qualche volta col carro… e c’era una caserma grande, con tanti militari che sempre chiedevano l’appuntamento.

Gloria Nemec: Le sue sorelle non imparavano a cucire?

Lucia Cerlon: No. Questa Maria era sardellina, la Etta era una scavezzacollo, un poco sardellina, e un poco era andata a servire dal maresciallo dei carabinieri… la Livia ha fatto fin all’ottava classe e dopo era che scriveva, impiegata a Scoglio Olivi… l’ultimo era proprio maestro dei tornitori, Gianni era carpentiere navale. Domenico e Romano erano muratori…. Poi noi avevamo le pecore, la terra, due grandi boschi d’oliva che facevamo l’olio, una grande vigna che facevamo il vino, poi c’erano altri due-tre campi che seminavamo un poco di frumento, un poco di grano. Così facevamo tanto formaggio e la lana, la ricotta, il latte, gli agnelli, ma non si poteva vendere signora, perché la gente non aveva soldi! Mia mamma aveva queste righe grandi di formaggio, ma non si vendeva, solo cambiavamo questa roba conforme a quello che dai negozianti, nelle botteghe, ci occorreva. Prendevamo farina, zucchero, pasta, riso, marmellata anche, conserve, tutto quello che ci serviva. Prendevamo il petrolio, il baccalà, lo stoccafisso, quello ben secco, mia mamma lo pestava e lo faceva alla marinaia, si diceva qua, o anche col sugo e la polenta. Mia mamma diceva: ‘Lucia, la mattina bevi il caffelatte, con il pane e la marmellata’.  Io non volevo, volevo pane e conserva. Cosa le pare: che eravamo ricchi?

Gloria Nemec: No, diciamo che non eravate tra i più poveri.

Lucia Cerlon: No! No, noi avevamo le scarpe a Pasqua e a Natale, a Natale avevamo gli stivaletti come quelli da uomo, con le spighette.

[Da G. Nemec, Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Unione Italiana Fiume – Università Popolare Trieste – Università degli studi  Trieste, Centro di ricerche storiche Rovigno, ETNIA vol. XIV, 2012]