3/11/2003 – Mario Stalzer   – Strade incrociate tra Padova e Quarnero – 

 (Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin)  

Mario Stalzer: segretario del Libero Comune di Fiume in Esilio. Strade incrociate tra Padova e il Quarnero

 Il rapporto con i rimasti ci consente di immaginare di lasciare un segno del nostro impegno Schivo, seppure fiero del suo lavoro, riservato ma dal sorriso aperto, il fiumano Mario Stalzer è segretario generale del Libero Comune di Fiume in Esilio. “Sono uno dei pochi rimasti a Padova, luogo storico di creazione del Libero Comune – spiega. Le mie competenze riguardano tutta la gestione completa della sede ed i contatti. Il sindaco infatti abita a Milano, il vicesindaco a Cremona, a Padova ci voleva qualcuno che si prendesse questo incarico. La sede è prestigiosa, sita in Riviera Ruzzante. E’ un appartamento di nostra proprietà con una sala per le riunioni di Giunta, una segreteria ed un’altra sala per incontri e manifestazioni varie. Ci riuniamo, in sede di Giunta, di norma ogni due mesi, salvo periodi di difficoltà in cui questi incontri vengono dilazionati. L’assise del Consiglio invece si tiene una volta all’anno, almeno che non si decida di convocarlo in via straordinaria”.La conversazione si svolge a Rimini, durante il Raduno annuale dei fiumani, che verrà ricordato per la cordialità delle strette di mano tra amici, per l’importanza degli interventi – anche quelli della delegazione della Comunità degli Italiani guidata dal suo presidente Alessandro Lekovic – per la partecipazione del ministro Carlo Giovanardi, per il black out nazionale che ha messo in agitazione i partecipanti, per la messa officiata in albergo con la complicità della luce delle candele. “Il Libero Comune di Fiume in Esilio venne costituito a Padova 42 anni fa – racconta Stalzer -. A promuoverlo era stato un gruppo di persone Gherbaz, Cattalini ed altri, che, purtroppo non ci sono più. Unico protagonista vivente è Carlo Cosulich. Il Comune doveva diventare un punto di riferimento per tutti i fiumani”.Con quali finalità? “Il fine era quello di stabilire un contatto con i fiumani sparsi nel mondo, di molte famiglie si avevano notizie frammentarie, tanti avevano affrontano un secondo esodo oltreoceano. Era necessario ristabilire dei rapporti prendendo contatti diretti con l’uno e con l’altro, inviando le schede di adesione. Oggi ci si rivolge a ventimila concittadini sparsi in tutto il mondo dal Cile alla Russia, dal Canada all’Australia e alla Nuova Zelanda”.Che rapporti intrattengono queste persone con il Libero Comune? “Ci sono contatti costanti che avvengono attraverso il giornale, “La Voce di Fiume”, che inviamo ogni mese a tutti, poi si è instaurata una fitta corrispondenza per comunicazioni varie”.I fiumani possono contare anche su istituti prestigiosi creati a Roma, in che modo siete coinvolti? “Partecipiamo nelle decisioni e nei programmi del Centro Studi fiumani che ha sede a Roma, come pure il Museo. In piena autonomia, invece, abbiamo realizzato qualche progetto editoriale. L’ultimo, in ordine di tempo, grazie ai contributi della legge 72/2001, è attualmente in preparazione. Abbiamo deciso di tradurre un libro prestigioso della professoressa Ilona Fried dell’Università di lingue di Budapest, dove insegna l’italiano. Il volume – scritto in ungherese – è dedicato a Fiume ai tempi dell’Ungheria. Nel 1719 la nostra città fu dichiarata porto franco e collegata da una strada con l’Ungheria, di cui divenne il porto. Nel 1779 fu annessa dall’imperatrice Maria Teresa alla corona ungherese quale corpo separato e terzo fattore della corona di Santo Stefano. Posizione privilegiata per cui la città divenne di fatto uno Stato nello Stato. Tanto che gli stessi imperatori, quando volevano modificare la legge di successione al trono d’Austria, dovevano chiedere ed ottenere anche il consenso della piccola città. C’è poi tutto il discorso dei rapporti di carattere economico e soprattutto culturale. Il volume dovrebbe uscire l’anno prossimo. Un’opera di nicchia ma, per noi, di grande rilevanza”.S’avverte, nelle vostre iniziative, un contatto stretto con la Comunità degli Italiani… “Diciamo che si tratta più di incontri che di iniziative. Spesso sono percorsi resi difficili dalla realtà di una città complessa che s’interroga sul proprio ruolo oggi, costretta spesso a compromessi che non sempre premiano il nostro impegno. Manteniamo, comunque, ottimi rapporti con gli italiani di Fiume da più di dieci anni con risultati gratificanti soprattutto a livello personale. Ci si ritrova tra amici”. Cosa vorrebbe salvare del lavoro che state facendo e che avete fatto nel passato? “Abbiamo fatto quello che era possibile fare, sarebbe bello che ne rimanesse memoria, ma dove? A Padova, a Roma? Con i contatti di questi ultimi anni, che sono fondamentalmente cambiati, e con la presenza dei giovani nell’attività della comunità italiana di Fiume, c’è speranza che lì qualcosa resti, anche di noi”. Risolti i problemi della restituzione, appianata la strada all’acquisto, lei tornerebbe? “Lo sto già facendo, nell’unico modo che riesco a considerare legittimo e plausibile, senza attendere oltre. Sa, i tempi stringono, ed aumenta la fatica, ma io mi accontento di andare ogni tanto a Fiume, – in media ogni due settimane, insieme a mia moglie Clara, che mi affianca nella mia attività – di passeggiare lungo il Corso, girare per le vie della città dove ogni pietra ogni marciapiede mi comunica qualcosa, riscoprire il piacere di stare con la mia gente”.Perché la sua famiglia ha scelto l’esodo?”Abitavamo in Braida. Mio padre, fiumano di nascita e per discendenza, era proprietario di una libreria-cartoleria al numero 12 di via Fiorello La Guardia, fino al 1946, quando fu arrestato con l’accusa di aver venduto delle bottigliette di inchiostro a dei ragazzi. Lui non sapeva certo se l’inchiostro sarebbe servito per scrivere a scuola o per lanciarlo sui muri. Al processo venne condannato a due anni o ad una multa di 80 mila lire. Pagata la multa, che era altissima, gli permisero di andarsene: i miei genitori, mio fratello che come me, oggi vive a Padova e una sorella che vive a Chieti”.E lei?”Militare a Trieste, fui catturato l’8 settembre del ’43 e trasferito in Germania, poi in Lituania e in Polonia fino al 1945…”.Come venivano trattati i prigionieri?”Grande freddo, grande fame e tanto lavoro. Avevo 19 anni compiuti in prigionia”.Non ne parla volentieri, abbassa gli occhi per difendersi dal fluire dei ricordi. Ma poi ripercorre quella strada, per rendere omaggio a una amica.”Fui liberato dagli americani e, in Germania, incontrai una compagna di scuola, anche lei sulla via di casa dopo l’intervento degli alleati. Si chiamava Maria Ivancich (poi Humski). Quanta felicità rivedere un volto noto, anche se la prigionia ci aveva cambiati. Abbiamo affrontato insieme il lungo viaggio – durato parecchi mesi – di ritorno in Italia. Ci siamo divisi a Trieste, tutti mi consigliavano di non andare a Fiume, lei invece ha proseguito per tornare alla sua famiglia e lì è rimasta, ad insegnare nelle scuole italiane, fino al pensionamento. E’ mancata poco tempo fa”.