Dopo l’8 settembre 1943, con il crollo delle strutture dello Stato italiano e l’occupazione da parte dei tedeschi soltanto dei principali centri (Trieste, Fiume, Pola), nell’Istria interna e in varie cittadine della costa venne a crearsi un vuoto di potere. Iniziarono così gli arresti da parte degli insorti e dei reparti partigiani jugoslavi giunti dall’entroterra e dalle zone già parzialmente liberate. L’ondata di repressione andò a colpire non soltanto le figure legate al partito fascista, oppure i possidenti agrari e le loro famiglie, ma anche i quadri dell’amministrazione italiana (podestà, messi comunali, carabinieri, guardie campestri), e più in generale la classe dirigente italiana, secondo una logica che assunse caratteristiche sociali, nazionali e politiche.

Nelle cittadine costiere e nei centri minerari e industriali prevalsero i motivi di classe, dal momento che ad essere colpiti furono, da parte anche degli stessi italiani appartenenti al movimento di liberazione jugoslavo, quadri del partito fascista, dirigenti, impiegati, capisquadra. Molti furono anche i casi di persone eliminate per vendette personali, conti in sospeso o per delazione.

Da differenti fonti risulta che le persone arrestate furono trasferite in tre principali centri: Pinguente, dove affluirono tutti i prigionieri dell’Istria settentrionale; Pisino, in cui furono concentrati gli arrestati delle zone di Rovigno e Parenzo; ed Albona, dove finirono le persone arrestate nell’Istria meridionale, condotte in parte pure a Pisino.

Castello Montecuccoli a Pisino

Castello Montecuccoli a Pisino

Centro principale di smistamento fu il Castello di Pisino, nei cui sotterranei furono improvvisate le carceri e si svolsero la maggior parte degli interrogatori, nonché emanate le sentenze del Tribunale partigiano, costituito proprio allora dal Comando operativo dell’Istria.

Le procedure, anche nel caso dei rari processi, furono assai sbrigative. Dopo le sommarie istruttorie, gli accusati venivano portati davanti al tribunale che, sulla base di accuse stereotipate o del tutto inventate, provvedeva in breve tempo a pronunciare la sentenza, la quale immancabilmente era di piena colpevolezza e quasi sempre contemplava la pena capitale. Gran parte delle esecuzioni furono attuate, in moltissime località, senza alcun processo o pronunciamento da parte di qualsiasi organismo del Movimento Popolare di Liberazione.

Il problema delle foibe venne sollevato subito dopo la loro scoperta anche da parte di antifascisti italiani. Sono note le dure critiche mosse a tale riguardo da Pino Budicin alla I Conferenza regionale del PCC dell’Istria di Brgudac nel dicembre 1943. Egli denunciò con foga, assieme ad alcuni sconcertanti aspetti sciovinistici di allora, i metodi con i quali furono liquidati i fascisti ed i supposti “nemici del popolo” durante l’insurrezione.

Nella primavera del 1945, allorché le formazioni partigiane jugoslave arrivarono nelle città principali della Venezia Giulia, la repressione ebbe come epicentri Trieste e Gorizia, oltre a Fiume e Pola: iniziarono gli arresti di militari tedeschi e della RSI, le deportazioni e le esecuzioni sommarie di molti prigionieri. Altre categorie di persone ad essere travolte dalla repressione furono i quadri intermedi del fascismo, guardie di finanza, guardie civiche, ma anche esponenti del CLN, partigiani italiani contrari all’egemonia del MPL e sloveni e croati considerati nemici di classe. In termini generali, si trattò di “un’epurazione preventiva”, in cui intere categorie di persone giudicate anche solo potenzialmente pericolose per il progetto politico-nazionale di annessione dell’intera Venezia Giulia alla Jugoslavia, o per l’instaurazione del nuovo regime comunista jugoslavo, caddero vittime della violenza e della repressione di un movimento rivoluzionario – che aveva tutte le caratteristiche di un regime stalinista e che era impegnato nel generale processo di presa del potere in Jugoslavia – cui si aggiunse l’aggressività nazionale contro gli Italiani.