A Trieste, nel corso dei quaranta giorni di “occupazione” jugoslava, uno dei primi provvedimenti fu quello della decretazione della legge marziale: con l’imposizione del coprifuoco dalle 15 alle 10 del mattino successivo, con divieto di riunioni e cortei (solo per gli avversari però), proibizione di entrare ed uscire dalla zona senza permesso, consegna delle armi, obbligo di presentarsi al lavoro, ecc. Quindi, passato il potere civile al Comitato popolare di liberazione cittadino, venne costituita la Guardia popolare, con l’OZNA ormai padrona della situazione. Ben presto fu imposto un severo regime d’occupazione operando ogni sorta di requisizioni e confische, compresa la chiusura dei giornali esistenti, sostituiti da altri posti sotto il controllo jugoslavo. Oltre a ciò, vennero istituiti i tribunali del popolo, che si misero subito all’opera. Ma i provvedimenti che fecero maggior scalpore furono gli arresti arbitrari, le deportazioni e gli infoibamenti quotidiani effettuati, non solo nei confronti degli ex fascisti e dei collaborazionisti, bensì anche dei rappresentanti antifascisti più in vista, quali i membri del CLN di Trieste, di Gorizia e di altre località, in quanto considerati gli avversari e concorrenti più temibili nella lotta per l’annessione della Venezia Giulia. 

In quel periodo a Trieste e a Gorizia furono deportate migliaia di persone: solo una parte di esse ritornò a casa. 

Crimini di ogni tipo furono attuati nei confronti di militari e civili italiani, ma anche di civili sloveni e croati, vittime di arresti, processi farsa, deportazioni, torture, fucilazioni. La situazione si protrasse per alcune settimane, sebbene a Trieste e a Gorizia fra il 2 e il 3 maggio fosse arrivata anche la seconda divisione neozelandese del generale Bernard Freyberg, inquadrata nell’VIII armata britannica. L’indignazione tra la popolazione a Trieste a seguito delle repressioni e degli eccidi fu tale che si trasformò ben presto in proteste anche pubbliche, la prima delle quali venne soffocata nel sangue. Il grave fatto avvenne il 5 maggio del 1945 quando un drappello di soldati jugoslavi affrontò la folla in Piazza Goldoni sparando sui manifestanti italiani, causando ben cinque morti e diversi feriti. 

È difficile la quantificazione delle vittime di queste violenze, anche se la maggior parte delle fonti parla di alcune migliaia di persone. 

Un rapporto del 3 agosto 1945, stilato dal 13° corpo d’armata anglo-americano, indica il numero di 17.000 persone inizialmente arrestate nell’area di Trieste, di cui 8000 rilasciate dopo i primi accertamenti, 6.000 internate (di cui 3.000 nel campo di Borovnica) e 3.000 uccise. Per il Goriziano venne indicata la cifra di 3.400 arrestati, metà dei quali rilasciati all’inizio di giugno. Al momento della compilazione del rapporto, mancavano notizie di 1500 persone dell’area di Trieste, 1.500 dell’area di Gorizia, 500-600 di Pola, e 150 di Monfalcone. Alcuni mesi più tardi gli angloamericani compilarono un elenco di 2.572 persone scomparse nell’area giuliana occidentale, di cui avevano chiesto conto al governo di Belgrado.

L’attuale stato delle ricerche relative alle foibe del 1945 non permette conclusioni sicure. La cifra più diffusa nell’opinione corrente indica le vittime in dieci-dodicimila. La stima scientificamente più credibile si attesterebbe invece sull’ordine delle quattro-cinquemila vittime. Il fenomeno delle foibe assunse in questo periodo una dimensione ancora più ampia e drammatica di quella rilevata nel 1943 in Istria, anche perché in questo caso le esecuzioni sommarie ed i casi di violenza si verificarono a guerra conclusa, e in presenza di un apparato militare e strutture di potere consolidate.