Praticamente, all’infuori dell’ingegnere Leone Peteani (inviato qualche tempo prima a Roma per difendere la causa fiumana), il movimento autonomista zanelliano fu quasi completamente decapitato in pochi giorni. Il 4 maggio a Castua, vicino Fiume, furono fucilate dieci persone, senza processo, fra cui il senatore e governatore della Provincia di Fiume Riccardo Gigante (nel 2018 le salme di sette fucilati verranno traslate in Italia). Arrestati, scomparsi e mai più ritrovati furono invece l’antifascista Angelo Adam, reduce dal campo di concentramento di Dachau, Icilio Bacci e l’ex podestà Carlo Colussi. Da Fiume nel periodo maggio-agosto 1945 risultarono scomparse 500 persone, delle quali accertati 242 civili. Di particolare importanza, a questo proposito, le indicazioni fornite nel volume “Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)“ a cura di Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, Società di Studi Fiumani e Istituto Croato di Storia, (Ministero per i beni e le attività culturali).
A Zara furono segnalati almeno 200 casi di persone arrestate e deportate dalle forze jugoslave all’indomani dell’occupazione, nell’ottobre del 1944, dopo che la gran parte della popolazione aveva già abbandonato la città gravemente bombardata (la città dal 1943 al 1945 fu sottoposta a ben 54 bombardamenti alleati e quasi completamente distrutta). Destò particolare scalpore l’uccisione di Nicolò e Pietro Luxardo, titolari dell’omonima storica fabbrica di liquori, fatti barbaramente annegare in mare.
Nell’aprile del 1947 l’ufficio addetto alle Displaced Persons comunicò al quartier generale del Governo militare alleato le cifre degli scomparsi registrati per la sola Zona A (prevista dall’accordo di Belgrado): 1.492 a Trieste, 1.100 a Gorizia, 827 a Pola. (vedi: “Foibe”, di Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Mondadori, 2002).
Nei territori controllati dall’Esercito di liberazione jugoslavo si attuò un’ampia e radicale opera di epurazione, con arresti, uccisioni e deportazioni di tutti i potenziali avversari ideologici, politici o nazionali del nuovo potere (secondo Diego De Castro in tutta la regione sarebbero state deportate in quel periodo oltre 12.000 persone). A farne le spese non furono tanto gli avversari, già sconfitti, del vecchio regime fascista, o coloro che collaborarono con i nazisti, quanto gli esponenti di quelle forze democratiche e antifasciste italiane che avrebbero potuto costituire un’alternativa al disegno egemonico del Partito comunista jugoslavo.