Arrivati nelle varie parti d’Italia, non tutti gli esuli riuscirono a stabilirsi definitivamente, oppure a superare i problemi dell’inserimento; a migliaia emigrarono verso i paesi europei e quelli transoceanici (Belgio, Germania, Australia, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Venezuela, Canada, Usa). Soltanto con le partenze massicce da Pola, le autorità italiane reagirono allo svilupparsi dell’esodo con la costituzione, presso il ministero dell’Interno, dell’Ufficio per la Venezia Giulia, con compiti di coordinamento e di assistenza ai profughi. Tale Ufficio venne sostituito poco tempo dopo dall’Ufficio per le zone di confine, posto alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio, con funzioni assai più vaste. A sua volta, l’Ufficio Venezia Giulia aveva favorito la costituzione di comitati giuliani e dalmati in varie città italiane. Inizialmente, gli interventi statali a favore dei profughi furono frammentari e disorganici e riguardarono alcune forme di assistenza e la sistemazione occupazionale per determinate categorie di esuli. Fu nel corso degli anni Cinquanta che il governo italiano attuò a favore dei profughi giuliani e dalmati forme di intervento che miravano ad un loro graduale inserimento economico e sociale nel tessuto nazionale.
Tabella: Dati comparativi sulla dimensione numerica dell’esodo secondo le principali fonti
A rivendicare la rappresentanza e la tutela, e a farsi promotori dei problemi degli esuli furono diversi comitati, che nel corso degli anni si trasformarono in enti e organizzazioni: l’Associazione nazionale per la Venezia Giulia e Zara, il CLN dell’Istria, il Movimento istriano revisionista ed altri. Da ricordare inoltre l’attività dell’Opera nazionale per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati, ente costituito nel 1948 in seguito alla trasformazione del Comitato nazionale per i rifugiati. Quest’ultimo era stato costituito l’anno precedente, su iniziativa privata, ma reso “ufficiale” dalle personalità politiche che lo rappresentavano (De Gasperi, Orlando, Bonomi, Nitti e Parri) e dal fatto che nelle città, in cui si era formato, era spesso presieduto dai prefetti o dai presidenti delle province.
Trieste fu la città italiana in cui si stabilì la grande maggioranza degli esuli provenienti dalla zona B, dove si consumò l’ultima grande ondata di profughi nel 1954-1956. Altre città italiane con una forte presenza di esuli sono Gorizia, Torino, Genova, Padova, Firenze, Roma.
Trieste divenne nel tempo una delle principali destinazioni dei profughi, assumendo il ruolo di vera e propria “capitale morale dell’esodo”. Anche se il Governo militare alleato, sino al 1954, cercò di limitare l’afflusso degli esuli, in città trovarono rifugio, sin dall’inizio, migliaia di istriani, giuliani e dalmati. Trieste infatti risultò essere spesso per loro solo la prima tappa di transito, in vista di vari trasferimenti in altri campi profughi.
Complessivamente in Italia furono allestiti centoventi campi profughi, ricavati da caserme abbandonate, ospedali, campi di internamento o concentramento smantellati, stabilimenti o capannoni industriali, chiese ed altri ricoveri di fortuna.
La permanenza non fu breve, tant’è che ancora nell’estate del 1963, oltre 8.000 esuli istriani, e giuliano-dalmati risultavano ospitati in quindici campi profughi dislocati su tutto il territorio nazionale. Le fonti storiche e le numerose testimonianze concordano nel descrivere il drammatico impatto degli esuli con la realtà dei campi profughi, fatta di miseria, restrizioni, privazioni, carenze igieniche, mancanza di intimità e, soprattutto, di attenzione e dignità. Anche a prescindere da esperienze limite – come l’avventuroso viaggio di tredici pescherecci di istriani, da Chioggia a Fertilia, in Sardegna, con un vero periplo della penisola italiana – l’esodo rappresentò per molti una vera e propria odissea tra centri di accoglienza sparsi in tutta Italia. Anche i rapporti fra gli esuli e gli abitanti dei luoghi di destinazione non furono sempre facili: si dovettero superare spesso muri di diffidenza e incomprensione costruendo, non senza ostacoli, un graduale clima di comprensione e di collaborazione. Fu nell’esilio che maturò fra gli esuli una straordinaria solidarietà e, in particolare, una comune identità istriana capace di travalicare le precedenti appartenenze locali e municipali.
Un’identità che si andò sviluppando grazie alla rete dell’associazionismo della diaspora, impegnata nella tutela dei diritti dei profughi, e in una costante azione di sostegno sociale e di appoggio politico. Di fronte alle diverse opzioni e scelte, che andavano dallo “sventagliamento” e la dispersione dei profughi in tutto il territorio nazionale, (per favorirne l’integrazione, anche dal punto di vista economico), alla necessità di concentrare i profughi in singole località (per garantire un più facile mantenimento della loro identità, dei loro usi e costumi), nacquero, in varie località, dei veri e propri “borghi” istriani che consentivano ai loro abitanti di conservare le loro abitudini e attenuare il loro sradicamento.
Una gran parte degli esuli fu costretta a sperimentare l’esperienza dell’esodo oltre oceano o di “esuli due volte”, ovvero a intraprendere la difficile strada dell’emigrazione e dell’esilio fuori d’Italia, in altri paesi europei, e, soprattutto, negli Stati Uniti, in Canada, nell’America Latina (Argentina, Brasile, Uruguay), in Australia, in Sudafrica grazie anche ai canali preferenziali che in quegli anni venivano predisposti dalle organizzazioni internazionali a favore dei profughi e dei migranti (le “displaced persons”), come ad esempio, l’IRO (International Refugee Organization).
Nel corso degli anni, in Italia e in altri paesi l’universo degli esuli diede vita a varie associazioni, circoli, club e giornali, per occuparsi di molteplici iniziative di carattere politico, sociale, culturale legate alla loro realtà.