Nonostante le aperture del 1950, che portarono ad una prima parvenza di democratizzazione e di liberalizzazione della società jugoslava (con l’approvazione della legge sull”autogestione”, ovvero sulla “gestione delle imprese economiche statali da parte dei collettivi operai” del 1950), nella regione istro – quarnerina non cessarono gli eccessi e gli abusi. 

Il sistema anzi autorizzò una nuova ondata di violenze che dette luogo, in molte località, a vere e proprie azioni punitive contro chiunque venisse considerato ostile al regime. Divennero quasi quotidiani i pestaggi e le minacce, sia della polizia, che da parte di apposite “squadre di picchiatori”.

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Oggetto delle vessazioni furono in particolare i cominformisti, gli optanti (in particolare quelli che avevano ricoperto importanti funzioni pubbliche e politiche nelle strutture pro-jugoslave), i contadini che si opponevano all’adesione obbligatoria alle cooperative o all’invio al lavoro coatto e tutti coloro che avevano osato esprimere dei giudizi critici nei confronti dell’operato del regime. I tentativi di persuasione e di gestione del consenso degradarono gradualmente nella costrizione e nell’uso di metodi polizieschi con arresti ed interrogatori. 

Numerosi furono i pestaggi, le azioni intimidatorie e gli “interrogatori di polizia” attuati contro i soggetti che si erano rifiutati di partecipare agli ammassi obbligatori dei prodotti agricoli, o di aderire ai prestiti nazionali. 

Non pochi disagi provocò inoltre, dopo l’ammasso obbligatorio dei prodotti agricoli, l’introduzione dei cosiddetti “prezzi collegati”, proposti allo scopo di liberalizzare il mercato; tale misura non fece altro che provocare un indiscriminato aumento dei prezzi e la scomparsa dei prodotti agricoli più importanti.  

Il malcontento per la disastrosa situazione economica, e le costanti persecuzioni contro chiunque non si allineasse alle volontà del potere, furono le principali cause dell’apertura, nel 1951, della seconda fase delle opzioni.

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Le numerose denunce per gli abusi compiuti nei confronti degli optanti, e le proteste per l’altissimo numero di opzioni respinte (inoltrate alle sedi consolari italiane) indussero il Governo jugoslavo a concedere un’ulteriore proroga. 

Significativi sono inoltre i verbali e le note della “Commissione mista italo-jugoslava per l’accertamento e la valutazione dei beni abbandonati”, cui veniva tra l’altro demandato il compito di risolvere i casi che erano diventati oggetto di particolari contestazioni. 

Nei vari archivi sono conservati i dati di oltre 16.000 nominativi che avevano avanzato ricorso contro le procedure di valutazione e di accoglimento, da parte jugoslava, delle istanze d’opzione. Ben 3.142 sono invece le denunce di abusi e le varie proteste inoltrate, tra il 1949 e il 1951, al Consolato generale italiano di Zagabria.  

Fu così che, il 23 dicembre 1950, venne firmato a Belgrado un accordo per la riapertura delle opzioni. Le nuove domande si sarebbero potute ripresentare nell’arco di tempo compreso tra l’11 gennaio e l’11 marzo del 1951.  

Con queste nuove opzioni se ne andò un’ulteriore parte della popolazione italiana. Della riapertura dei termini si avvalsero altre 6.580 persone, alle quali devono essere aggiunte le 5.238 che avevano chiesto lo svincolo della cittadinanza jugoslava.  

Con questa nuova ondata partirono anche numerosi dirigenti dei circoli italiani, esponenti di primo piano dell’UIIF e funzionari delle strutture amministrative, nonché quasi tutto il personale tecnico delle varie imprese economiche e dei principali stabilimenti industriali. Le opzioni proseguirono con varie ulteriori e parziali proroghe, anche negli anni successivi. La componente italiana del territorio non si sarebbe mai più ripresa da questa profonda frattura.