Il Trattato di pace stabiliva, nell’articolo 19, che i cittadini italiani, i quali nel giorno della dichiarazione di guerra da parte dell’Italia (10 giugno 1940) avevano la loro residenza nei territori ceduti alla Jugoslavia, avrebbero perduto la cittadinanza diventando ipso jure cittadini jugoslavi. Il Trattato, però, consentiva di optare per la cittadinanza italiana. Il diritto d’opzione doveva essere esercitato entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato, presentando le domande alle competenti autorità jugoslave. L’opzione era riservata ai residenti il 10 giugno del 1940 di «lingua d’uso italiana». Entro un anno dalla presentazione della domanda gli optanti dovevano trasferirsi in Italia.

Approfondimento: Le conseguenze del Trattato di Pace. L’annessione

Esuli istriani in partenza

Esuli istriani in partenza

Il 27 novembre del 1947, il Presidium dell’Assemblea federale jugoslava promulgò la Legge sulla cittadinanza, che tra l’altro regolava lo status di cittadinanza ed i meccanismi per l’esercizio del diritto d’opzione nei territori annessi. La legge sulla cittadinanza per i territori annessi, venne completata (il 2 dicembre 1947) da un apposito Regolamento, il quale stabiliva, da parte jugoslava, i criteri e le procedure per la concessione delle opzioni. L’obbligo degli optanti di trasferirsi in Italia entro un anno dall’esercizio del diritto d’opzione prefigurava le caratteristiche di un’effettiva espulsione di fatto. Non erano stati emanati dalle autorità jugoslave dei decreti formali d’espulsione, ma è chiaro che chi si sarebbe ostinato a rimanere dopo l’opzione (a favore della cittadinanza italiana) sarebbe stato espulso. Gli italiani autoctoni non potevano dunque rimanere conservando la cittadinanza italiana, tutti gli altri sarebbero diventati jugoslavi e ridotti a un’oggettiva condizione di subalternità e di minoranza.

Si trattava di disposizioni alquanto restrittive: nell’accertamento della lingua d’uso italiana degli optanti non veniva presa in considerazione la dichiarazione o la volontà degli interessati, bensì tutto dipendeva dalla discrezionalità e dall’atteggiamento spesso arbitrario degli organismi amministrativi locali.  

Le opzioni ebbero inizio il mese di marzo del 1948.

Approfondimento: La politica jugoslava nei confronti delle opzioni

A causa delle numerose lamentele raccolte sulle violazioni e le difficoltà opposte dalle autorità jugoslave agli optanti, emerse ben presto l’esigenza di prorogare il termine ultimo per la presentazione delle domande, che scadeva il 15 settembre del 1948. Nel mese di maggio una missione italiana si recò a Belgrado per trattare i problemi inerenti ai beni abbandonati e alle questioni economiche derivanti dall’applicazione del Trattato di Pace. Successivamente, nell’agosto, era stato raggiunto un accordo per gli optanti che venne parafato a Belgrado.

Alla fine il Governo jugoslavo, su richiesta di quello italiano, accettò di prorogare il termine delle opzioni per altri quattro mesi, fino al 16 febbraio 1949. L’intesa si sarebbe dovuta limitare ai casi ancora irrisolti, o a situazioni particolari, (come quella relativa, ad esempio, all’opzione ritardata concessa a 400 rovignesi). 

Con le prime opzioni, (quelle registrate nel 1948-49), a differenza della fase iniziale dell’esodo avvenuta nel 1945 (che coinvolse principalmente le categorie più benestanti o gli individui più esposti alle persecuzioni politiche) ad andarsene furono principalmente le classi meno abbienti: lavoratori, contadini, artigiani e anche una buona parte di coloro che avevano inizialmente aderito al nuovo potere popolare. Fra questi vi erano molti ex combattenti della Resistenza, attivisti dei circoli italiani di cultura, esponenti dell’UIIF (l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume), impiegati e funzionari dell’amministrazione pubblica e, soprattutto, insegnanti e personale docente delle scuole italiane. 

Approfondimento: Il “controesodo” dei monfalconesi

Gli enormi vuoti prodotti dall’esodo, specie in fatto di intellettuali  di maestranze qualificate per le industrie, furono in parte colmati con il trasferimento dai territori jugoslavi di personale amministrativo e politico, ma anche con l’arrivo di alcune migliaia di operai e intellettuali provenienti da varie parti d’Italia, in particolare dell’area del monfalconese.

Campo di concentramento sull'Isola Calva

Campo di concentramento sull’Isola Calva

Questa nuova “forza lavoro” venne concentrata nei principali centri industriali della regione, Fiume e Pola, ma anche in altre località della Jugoslavia. Le speranze dei “monfalconesi” andarono però ben presto deluse.

A seguito della Risoluzione del Cominform la gran parte dei protagonisti del “controesodo” dovettero confrontarsi con gli effetti di una durissima ondata repressiva che li colpì direttamente, per la loro posizione internazionalista e tradizionalmente fedele all’Unione Sovietica. 

La maggioranza degli isontini e degli italiani trasferitisi nel 1947 in Jugoslavia, dopo una durissima esperienza, spesso segnata da persecuzioni o duri periodi di prigionia  (al campo di detenzione dell’Isola Calva – Goli Otok) ritornarono in Italia, dove furono accolti, per la loro “scelta”, con particolare ostilità.